di Riccardo Bocca
Palazzi mai costruiti. Anticipi scomparsi. Ipoteche spuntate dal nulla. Sono 200 mila in Italia le vittime dei fallimenti immobiliari. Niente appartamento. Ma tanti debiti
Una manifestazione del Conafi
(foto: http://www.conafi.it)
L'incubo di Ileana De Amicis, impiegata romana di 41 anni, inizia nel 2001. È allora che decide il grande passo: acquistare una casa. Per questo si rivolge al gruppo Progedil, che le illustra le meraviglie di un villino fuori Ostia. Costo complessivo, 114 mila euro: 30 mila di cambiali al compromesso e 84 mila di mutuo. A prima vista un affare, nei fatti un dramma. Gli amministratori della cooperativa San Gaspare, responsabile dei lavori, sono infatti travolti da un'inchiesta giudiziaria. L'uomo chiave dell'operazione, Emilio Francesco Falco, finisce per qualche tempo in carcere. E lei scopre la triste verità: i suoi soldi sono stati stornati su altre operazioni. Non ci sarà nessun villino, non c'è mai stato nessun terreno. Risultato: oggi la signora Ileana ha buttato i suoi risparmi, spende 1.100 euro al mese di affitto. E cerca inutilmente di raccogliere un nuovo gruzzolo.

Non è un caso isolato. È l'emergenza che sta vivendo un impressionante numero di italiani. Fino a 200 mila acquirenti di case in costruzione, stima l'Assocond-Conafi, gemellaggio tra l'associazione dei condòmini e quella delle vittime dei fallimenti immobiliari. Una cifra che, per calcolare il reale impatto, va almeno triplicata, visto il coinvolgimento di migliaia di famiglie. Tutte annientate dallo stesso, lineare percorso: la decisione di comprare casa, la scelta di un palazzo ancora da costruire, e l'addio ai propri denari. "Nel mezzo", dice Marco Magni, tra i fondatori di Conafi, "una gimcana di 'incidenti'. Cooperative che intascano i soldi, non pagano le banche e falliscono. Società edilizie che non fanno arrivare il compratore al rogito. Società che viceversa fanno rogitare, vanno gambe all'aria e lasciano l'acquirente in balia del curatore, il quale annulla l'atto e si prende la casa. C'è l'imbarazzo della scelta", spiega, "ma il risultato è identico: l'umiliazione degli ingannati. Che quando va bene perdono tutto, e quando va male vengono rincorsi dai creditori delle società saltate".
Un parere che non consola Davide Poli, trentaduenne di Molinella, in provincia di Bologna, addetto alle macchine per il confezionamento delle sigarette. Nel settembre 2002, dopo una vita in casa dei genitori, vuole andare a vivere da solo. Si rivolge alla Torregiani srl, e sceglie un appartamento di 70 metri quadri in via di costruzione. "Costava 139 mila euro, e io ne ho versati 52 mila tra compromesso e avanzamento dei lavori", racconta. La consegna è prevista nel marzo del 2003, ma non avviene. Anzi, l'immobile non è neppure completato. Nel dicembre 2004 la Torregiani fallisce, e 13 famiglie restano beffate. "Un danno", dice Poli, "a cui è seguita la beffa. Quando ho cercato di accedere al passivo del fallimento, per recuperare i soldi, il giudice ha detto che le mie fatture non bastavano: ci volevano altre prove. E quando ho recuperato tutte le carte richieste, mi è stato risposto che era troppo tardi".

La rabbia, va da sé, è tanta. E i numeri lo dimostrano. Basta andare sul sito dell'Assocond-Conafi e vedere la folla che si accalca on line. "Decine di migliaia di persone colpite da centinaia di fallimenti", racconta Marco Magni. "Il danno medio delle vittime", aggiunge, "è stimato in oltre 50 mila euro. E il dato impressionante è la distribuzione sul territorio, con 19 regioni colpite dal fenomeno". Uno scempio a cui l'associazione oppone una fitta rete di contatti. "Vittime di tutta Italia che, invece di piangersi addosso, hanno creato un fronte comune", dice l'avvocato Franco Casarano, presidente dell'associazione. Il risultato è l'approvazione nell'agosto 2004 della legge 210, scritta da Lino Duilio (deputato della Margherita) e resa operativa da un decreto di Michele Vietti (ex sottosegretario alla Giustizia dell'Udc). "Un dispositivo che dovrebbe tutelare chi versa soldi per case virtuali", spiega Casarano, "ma che in realtà è ancora da perfezionare".

Il punto di partenza, dice l'avvocato, è semplice. Le somme versate dall'aspirante proprietario prima del rogito, sono a rischio; quindi, recita la legge, il venditore deve garantirle con una fideiussione bancaria o una polizza assicurativa. "Peccato", prosegue Casarano, "che il legislatore non sia andato fino in fondo, e non abbia posto sanzioni per chi non stipula polizze o fideiussioni". In questo modo, l'unica difesa per l'acquirente è impugnare l'atto. "Un passaggio cruciale", lo definisce Magni: "Ciò che non deve accadere, è che il costruttore convinca l'aspirante proprietario a rinunciare alla polizza, dicendo che causerebbe un aumento del prezzo. O peggio ancora, che taccia e basta, spingendo il compratore verso un potenziale baratro". Episodi che non risultano all'Associazione costruttori, per la quale "anche l'acquirente non deve peccare d'ingenuità", ma che germogliano in un'ambiguità diffusa. Quando contattiamo alla Progedil di Roma, ad esempio, per informarci su un appartamento di 86 metri quadri lungo la via Cassia, la gentilissima signora M. M. ci spiega le modalità del pagamento (5 mila euro per bloccare la casa, 41 mila euro al compromesso, 17 mila euro a tetto pronto, altri 16 mila alla consegna e i restanti 250 mila mutuabili). All'insistita richiesta delle garanzie sui soldi versati, però, non parla né di polizze né tantomeno di fideiussioni. Anzi, nel corso di una lunga telefonata dice che "al compromesso la casa è già di fatto vostra", cosa in assoluto non vera. E aggiunge che "ci sarà un analisi preliminare nei vostri confronti, perché è vero che voi non conoscete il costruttore, ma lui non conosce voi".

"L'assurdo", commenta l'avvocato Cecere, "è che a fronte di questa disinformazione c'è un accanimento sulle vittime dei fallimenti. Coloro che rogitano regolarmente, vengono infatti segnalati alla centrale rischi della Banca d'Italia. Così non possono accedere a un credito bancario, e tantomeno riprendersi dalla stangata". Questioni al centro di 'Case di carta', il fresco saggio di Riccardo De Benedetti (vedi box a pag. 94), a sua volta vittima di un fallimento. E che introducono la storia di Gennaro Gallo, 41 anni, rappresentante di commercio napoletano. "Nel '91", racconta, "sono entrato nella cooperativa Parco Tre stelle. Volevo un appartamento di 95 metri quadri, la cui consegna era prevista nell'ottobre '92". Costo totale, 153 milioni di vecchie lire: 83 da pagare in corso di costruzione e 70 con mutuo ipotecario. "Nel '94, io e altre famiglie siamo finalmente entrati in casa. Ma i problemi non sono finiti. Anzi, mancavano le ringhiere, le caldaie, i cancelli, l'intonacatura del garage...". Nel '95, prosegue, la cooperativa fallisce. E il disastro cresce: "Prima abbiamo fatto una transazione con il curatore, spendendo 29 mila euro a testa", spiega. Poi, nel 2004, il Banco di Napoli ha pignorato gli immobili perché la cooperativa non pagava il mutuo". Risultato: dopo mille travagli, il signor Gallo e altre 54 famiglie riavranno casa pagando ulteriori 4 mila 700 euro. A fallimento concluso, probabilmente tra qualche anno.
"C'è da dire", commenta l'avvocato Casarano, "che simili disavventure sono tipicamente italiane". In Francia, spiega, "i costruttori scorretti vengono cancellati dal registro nazionale, e subiscono sanzioni amministrative. Regole simili sono presenti in Spagna, e per certi versi in Germania. Da noi invece abbondano i furbetti, e troppo spesso la fanno franca". Viceversa, osserva Marco Magni, le vittime dei fallimenti navigano tra gli intoppi. "Il decreto legislativo del 2005", ad esempio, "prevede un fondo di solidarietà al quale potevano accedere fino al 10 agosto scorso. Ma sovrapponendosi al cambio di governo, l'informazione istituzionale è stata debolissima, e solo in 10 mila hanno approfittato dell'occasione". Inoltre, nel passaggio della legge delega tra Camera e Senato, c'è stato un passo falso: "Originariamente la legge autorizzava l'accesso al fondo per chi aveva perso i soldi o non aveva avuto la proprietà. La versione definitiva, invece, ammette per un banale errore solo chi ha perso i soldi 'e' non ha ottenuto la proprietà. Un'imperfezione fatale per migliaia di compratori".

Cosa fare? Come orientarsi in queste contraddizioni? Chi interpellare per ottenere giustizia? Se lo chiedono Maria Potenza e Domenico Staffieri, quarantenni di Novara che nel 2002 hanno versato al compromesso, per un appartamento di 140 metri quadri, 250 mila euro, persi dopo il fallimento dell'impresa Tarantola (che non ha finito i lavori). Se lo chiede il trentasettenne Vito Antonio Romanelli, di Bari, dal '90 in bilico tra fallimenti e pignoramenti, senza una banca che lo finanzi per rialzare la testa. Se lo chiede, più serenamente, il cinquantenne Bruno Falzea di Grosseto che, raro caso di happy end, ha dovuto fare causa anche al curatore fallimentare per ottenere la proprietà di un appartamento di 76 metri quadrati in edilizia agevolata, consegnatogli un decennio fa. E se lo chiedono, in preda a una disperazione progressiva, Marzia Valleriani e Massimo Mazzera, lei casalinga e lui autista dell'Atac, protagonisti nella Capitale di una vicenda tra le più lunghe e pesanti. "Nel 1992", raccontano, "abbiamo sottoscritto in buona fede un compromesso per un appartamento di 40 metri quadri alla periferia nord della città". In quel momento, la coppia paga a Mediafin Service srl 20 milioni di lire, aggiungendone 59 durante la costruzione e altri 80 al rogito. "purtroppo", sostiene Valleriani, "sulla casa c'era un'ipoteca, che la società s'è impegnata esplicitamente a cancellare entro tre mesi". Un impegno non mantenuto, tanto che la signora decide di citare in giudizio Mediafin service, la quale nel frattempo si è liberata dei beni e ha nominato amministratore delegato un simpatico ottantenne. "Ora", spiega Valleriani, "siamo proprietari di un appartamento rifinito in maniera vergognosa, con gravi vizi strutturali, e le fogne sistemate a spese nostre. Il tutto senza un soldo in tasca e all'insaputa di amici e parenti, ai quali non abbiamo avuto il coraggio di raccontare la nostra disavventura, per non turbarli troppo". Un dramma che sembra senza fine. "La banca Fonspa, a cui si appoggiavano i costruttori", continua Valleriani, "ha ceduto il credito a una finanziaria, che a sua volta l'ha riceduto alla Finservice Spa di Udine, la quale pretende adesso 138 mila euro per liberarci dall'ipoteca. Pena la vendita all'asta il prossimo novembre".

Anche per questo, le vittime delle disavventure immobiliari hanno affibbiato ai costruttori in malafede un soprannome: ladri di case. "Il ritratto perfetto", dice l'avvocato Cecere del Conafi, "di chi obbliga gente onesta a lottare per la sopravvivenza e la dignità. C'è qualcosa di peggio?".

L'imbroglio arriva fino al ministero

Bruno Zorzan ha 59 anni, fa l'autista ed è al centro di un'incredibile vicenda che dura da 19 anni. È infatti l'87 quando entra nella cooperativa immobiliare Cynthia di Roma, legata con altre 48 cooperative al consorzio Coop Casa Lazio. Zorzan sottoscrive un preliminare di assegnazione per una porzione di villino quadrifamiliare che prevede una spesa complessiva di 112 milioni di lire: 40 subito, un'altra parte durante la costruzione e i restanti 64 con mutuo.

La casa doveva essere consegnata entro il '91, ma i lavori di urbanizzazione iniziano nel '95. Tra il '97 e il '98 parte la costruzione vera e propria, e solo nel 2000 vengono ultimati i lavori: "Per modo di dire", dice il signor Zorzan: "C'erano gravissimi vizi strutturali e pioveva in casa". Fatto sta che nel 2001 entra nella sua nuova abitazione. Ma il tormento continua. Nel 2002, il presidente della Cynthia dice a lui e agli altri soci che devono versare ulteriori 57 milioni di euro a testa. E intanto nasconde i debiti sociali della cooperativa (milioni di euro).

Nel 2004, alcuni soci denunciano alla Procura tutta la storia, dopodiché il ministro delle Attività produttive Antonio Marzano invia un'ispezione straordinaria. Così vengono arrestati il presidente della cooperativa, il suo entourage, e persino l'ispettore capo del ministero, accusato di essersi fatto corrompere per dire che era tutto a posto.

Nel frattempo, però, il signor Zorzan non ha risolto il suo problema. Nel senso che sta ancora aspettando di rogitare. Non ha insomma la proprietà della casa, e per giunta lo inseguono i creditori della cooperativa. Tra questi, "la Banca Popolare di Novara e Verona", che a leggere le carte della Procura avrebbe svolto nella vicenda un ruolo "grave".

È infatti emerso dalle ispezioni della Banca d'Italia, che il presidente della cooperativa riceveva dalla Popolare soldi che sarebbero dovuti servire per i mutui, e invece coprivano debiti di altre sue cooperative.

A farne le spese, ovviamente, Zorzan e gli altri aspiranti proprietari.

Case di carta
e istruzioni
per l'autodifesa

Centoventisette pagine di dolore. Ma anche di preziose informazioni per chi deve acquistare una casa ancora in costruzione. È questo 'Case di carta', sottotitolo 'un imbroglio all'italiana', il saggio edito da Medusa (14 euro) e scritto dal giornalista Riccardo De Benedetti.

"Dal 1942", spiega l'autore, "in Italia la procedura fallimentare ha individuato un capro espiatorio: l'acquirente. Il fallimento infatti non comporta alcun rischio per gli istituti di credito che hanno finanziato, spesso senza criteri, l'impresa". Mentre "i soldi che l'acquirente ha versato prima di entrare in possesso della casa (...) spariscono nel nulla, inghiottiti in un vortice buio nel quale si aggirano figure inquietanti: palazzinari, banche, notai, avvocati, curatori fallimentari, advisor, società di recupero crediti, crediti fondiari...".

Un dedalo in cui è facile entrare, ma difficilissimo uscire. Come dimostrano i nove capitoli del volume: dalla 'Fenomenologia dell'acquirente d'immobili' ai guai 'Di fronte alla legge'.