Fra i cinque imputati c’è Khalid Sheik Mohammed, l’uomo che si è autodichiarato ideatore degli attacchi e che ora invoca la pena di morte: “Voglio essere un martire”

 

 

 

 

L’11 settembre 2001 l’America e l’intero mondo occidentale erano sconvolti dagli attacchi terroristici contro New York e il Pentagono. Oggi, dopo sei anni e mezzo, nel tribunale militare della base di Guantanamo, sede del noto carcere di massima sicurezza, è cominciato il processo contro le presunte menti degli attentati.

Cinque uomini sono comparsi quest’oggi davanti al giudice Ralph Kohlmann, colonnello dei marine: fra di essi c’è Khalid Sheikh Mohammed, l’uomo che dopo la sua cattura, avvenuta cinque anni fa in Pakistan, si è autodichiarato ideatore degli attacchi. Mohammed e gli altri cospiratori sono accusati di crimini di guerra: cospirazione, assalto a civili, terrorismo e omicidio. Per quest’ultimo capo d’accusa, il tribunale ritiene gli imputati responsabili della morte delle 2.973 persone rimaste uccise nel crollo delle Torri Gemelle, nel World Trade Center di New York, nell’attacco al Pentagono e a bordo dell’aereo precipitato in Pennsylvania senza aver colpito il suo bersaglio.

Tutti e cinque i presunti “cervelli” del’11 settembre rischiano la pena di morte, ma la prospettiva non ha intimorito l’ex numero 3 di Al Qaeda, che anzi vede nella condanna alla pena capitale la possibilità di ottenere quel martirio che lo renderà un simbolo per tutto il mondo dell’estremismo islamico: “Sì, questo è quello che voglio, voglio diventare un martire da ricordare per sempre”, ha dichiarato Mohammed di fronte al colonnello Kohlmann, “E, se Dio vorrà, avrò quello che chiedo, grazie a voi”. L’uomo ha anche lanciato dure accuse contro il tribunale, che non garantirebbe un giusto processo: “Questa è l’inquisizione, non un processo”, ha urlato durante l’udienza Mohammed, che ha anche rifiutato l’assistenza del legale assegnatogli e ha voluto difendersi da solo, “Dopo cinque anni di torture, ci hanno trasferito a Guantanamo, la terra dell’inquisizione”.

Da tempo il sistema carcerario e giudiziario in vigore fra le mura del centro, in cui sono detenuti sospetti terroristi, è effettivamente al centro di polemiche e il primo processo celebrato nelle aule del nuovo palazzo di giustizia potrebbe essere anche l’ultimo: la Corte suprema deciderà infatti entro la fine del mese se i diritti dei prigionieri e vengano rispettati e potrebbe ritardare o fermare i processi nel caso in cui siano accertate le gravi violazioni contestate da più parti.
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