di Gigi Riva
Omicidi. Stupri. Violenze brutali. Aumentano in Italia i crimini contro le donne. E cresce la loro ferocia. Sempre più spesso la violenza si consuma in famiglia
Silvia Mantovani un colpo era riuscita a pararlo, col palmo della mano. Aveva anche cercato di buttarsi verso il lato del passeggero, ma era stata incastrata dalla cintura di sicurezza che diligentemente indossava. All'assassino aveva infatti abbassato il finestrino, lato guida. Perché l'assassino lo conosceva. Si chiama Aldo Cagna, 28 anni, suo coetaneo, ed era, fino a quattro anni prima, il suo fidanzato. Lo aveva anche denunciato per lesioni, in passato, perché l'aveva picchiata durante una festa. Quella sera, la sera del 12 settembre, l'ultima sera per Silvia, lui l'aspetta all'uscita della Columbus di Martorano (Parma) dove la ragazza lavora per mantenersi gli studi in medicina. Silvia entra nella sua Dedra grigia, lui la rincorre con la sua Panda, la sperona, la costringe a fermarsi. Scende si avvicina, Silvia abbassa il finestrino come per dirgli di farla finita... Dieci colpi di coltello tra volto e torace, uno mortale al cuore. Una furia che si placa solo quando il corpo di lei si affloscia. Aldo fugge, vaga nella campagna finché lo trova la polizia. Stella Palermo, 25 anni, di Albenga (Savona) si sentiva sicura nella sua casa in zona residenziale. C'era anche la mamma la sera del 4 luglio scorso quando Fabio D'Errico, 32 anni, contitolare di una piccola azienda di riparazioni di computer, si è presentato per l'ennesimo "chiarimento". I familiari di lei lo avevano diffidato dall'avvicinarsi, gli avevano chiesto di stare alla larga: facilmente trascende durante i litigi. Ed ecco l'ultima discussione, lui che prende il taglierino e, sotto gli occhi della madre, colpisce Stella a ripetizione al collo, prima di fuggire. Lo troveranno a Torino vicino alla casa del padre.

Norma Rado Mazzotti, 63 anni, stava spiegando a Primo Destro, 68 anni, che non ne voleva più sapere di lui, domenica 8 ottobre. Stavano in macchina nella campagna di Massanzago (Padova). Non c'era ragione che Primo volesse sentire: ha estratto un coltello, l'ha colpita, solo ferita. Lei perdeva sangue, ma riusciva a correre. Lui è sceso, l'ha raggiunta e ha affondato l'arma per 20 volte. Ha gettato il coltello nel torrente Muson. Ha guidato fino alla stazione dei carabinieri, si è pettinato i capelli bianchi e al militare in guardiola ha detto: "Ho ammazzato una donna. Volevo suicidarmi, ma lei si è messa a gridare e ho perso la testa".

Emilia, Veneto, Liguria. Solo tre fra gli ultimi esempi di accanimento sulle donne. Se la percezione collettiva di un fenomeno in crescita allarmante ha bisogno delle cifre, eccole. Nel 2005 sono state 138 le donne ammazzate in famiglia, dieci in più del 2004 (fonte Eures, Archivio degli omicidi dolosi in Italia, dato provvisorio in attesa della pubblicazione a fine novembre del 'Rapporto' definitivo). Delle 10 mila chiamate giunte da gennaio 2006 al Telefono rosa, ben 1.800 sono partite per segnalare maltrattamenti, contro le 1.270 dell'intero 2005, quando le violenze carnali denunciate furono nove contro le 26 dei primi nove mesi dell'anno in corso. Per uscire dalla Penisola, l'Onu ha appena pubblicato i risultati di un gigantesco studio dal quale risulta che una donna su tre in tutto il mondo, all'ingrosso un miliardo, subisce vessazioni, soprusi, mutilazioni o stupri. Se si è femmina, in una percentuale che va dal 40 al 70 per cento dei casi, si è destinati a morire per mani del marito o dell'amante. Ed è la prima causa di decesso, più del cancro o di qualsivoglia malattia.

In Italia l'estate che se ne è appena andata ha avuto, sul tema, quotidianamente, il suo mattinale da questura. La presidente del Telefono rosa, Maria Gabriella Carnieri Moscatelli, applaude all'idea del governo di affrontare, subito, in consiglio dei ministri, la revisione della legge sullo stalking (le molestie e i pedinamenti) con pene più severe, perché la condizione generale è ormai quella di tentare di evitare delle morti annunciate. Mai prima d'ora, e ha vent'anni di attività alle spalle, la Casa delle donne maltrattate di Milano si era trovata costretta a coniare uno slogan tanto estremo: 'Le vorremmo libere e felici, ma prima di tutto vive'. La presidente Marisa Guarneri, nel suo ufficio di via Piacenza 14, riflette come se tracciasse il bilancio del suo intero arco professionale: "Cosa è cambiato da quando iniziammo a metà degli anni Ottanta? È aumentata, e di molto, la ferocia. Si sono accorciati i tempi: all'omicidio si arriva assai più rapidamente". E c'è un nesso, probabile, col fatto che anche le vittime si stancano prima di prendere botte, quattro, cinque anni contro i decenni di un tempo. Più in fretta decidono di andarsene ed ecco la fase delicata quella quando più facilmente compaiono la pistola, il coltello, un semplice martello. La Guarneri e la sua vice, Tiziana Catalano, quasi si arrabbiano quando si azzarda la possibilità che certe percentuali siano drogate da una presenza sul nostro suolo più massiccia di donne extracomunitarie. È il riflesso condizionato dalla storia di Hina e del padre pachistano nell'opulenta Brescia. Società patriarcali? Culture diverse? Ma via. Ha un sorriso amaro e sarcastico la Catalano quando sottolinea che, nelle loro case protette, oggi ci stanno solo italiane.
E se va preso con le pinze il sommerso delle botte per la duplice difficoltà a denunciare e raccogliere dati, l'emerso, cioè ciò che non è occultabile socialmente come l'omicidio, è eloquente. Dei 138 omicidi domestici del 2005, 63 sono stati commessi nel Nord dell'agiatezza economica e vicino all'Europa, 28 nel Centro e 47 tra Sud e Isole. L'indipendenza, e l'autonomia della donna fanno paura all'uomo-padrone. Non è una questione di latitudine, tantomeno di classi. In Sardegna si sta seguendo un caso, lui magistrato, lei avvocato, persone che hanno dimestichezza con la legge. Lui ha cominciato a pedinarla, poi ha manifestato gelosia per i colleghi di studio. Prima verbalmente, poi con pugni e calci. Un punteruolo avvicinato alla gola ha fatto scattare la denuncia.

L'autore della violenza (analisi Ipsos 2005) in Italia è il marito o il convivente nell'85 per cento dei casi. Violenti ci sono anche tra i giovani. A Monza lei e lui ci sono andati ad abitare dopo essersi conosciuti in facoltà. Laureati entrambi, conviventi. Solo che lui ha preteso di essere il solo a lavorare. E prima di uscire il mattino la chiudeva in casa e di sera la menava solo se riceveva una telefonata. È andata avanti così per tre anni, finché lei ha sfondato la porta.

Le migliaia di storie raccolte nella novantina di centri antiviolenza sparsi in Italia (secondo un rapporto Istat del 2004 sono 520 mila le donne tra i 14 e i 59 anni che nel corso della loro vita hanno subito almeno una violenza tentata o consumata), si assomigliano. Potrebbero sembrare fotocopie in cui cambiano solo i dati anagrafici. Vengono raccontate col terrore negli occhi. A Firenze un giorno si è presentata ai servizi sociali una ragazza stracciata e ammaccata. La sera prima un amico del fidanzato, di professione bodyguard, si era offerto di riaccompagnarla a casa. Ha frenato in una via a ridosso del centro e l'ha costretta, con le mani legate, sul cofano della vettura, a subire uno stupro. Nelle vicinanze di Roma il branco ha infierito su una poco più che adolescente. Al pronto soccorso dove si è presentata persino i dottori che, per professione, tante ne vedono, si sono messi le mani nei capelli. Non bastasse, gli autori della violenza hanno continuato a minacciare la loro vittima di peggio nel caso avesse reso pubblica la vicenda. Lo ha fatto, ora sta in una casa protetta.

La denuncia aumenta la ferocia, dice l'esperienza. Alla Casa delle donne per non subire violenza di Bologna, Elena De Concini racconta di persone costrette a sfruttare l'occasione della spesa per infilarsi, di nascosto, nella sede sotto i portici e parlare. E chi si decide, finalmente, è perché è scattato un clic. Di solito coincide con le botte che dalla donna, si sono trasferite sui figli: "Molte confessano: finché picchiava me potevo sopportare, ma mi sono rivolta a voi quando ha cominciato coi bambini".

Telefono rosa ha provato a stabilire un profilo delle vittime. Coniugate o conviventi (59,2 per cento) ma con un significativo incremento delle divorziate. Età compresa tra i 35 e i 54 anni (60,8), laureate nel 13,9 per cento. Le casalinghe sono la categoria più rappresentata (24,7), seguite dalle disoccupate (14,9). Vanno poco dall'avvocato (7,2) mentre è in crescita il numero di chi si rivolge alle forze dell'ordine (11,2). Quanto all'autore della violenza, ha pure in maggioranza tra i 35 e i 54 anni (60,7), è laureato (16,7), fa l'impiegato (21,4), l'operaio (14,4) o il libero professionista (10,5). Meno i pensionati (8,7) o i disoccupati (7,9). Di norma non si droga e non beve. Dubita invece che si possa tracciare un identikit del potenziale killer la professoressa Anna Baldry, psicologa e criminologa, docente di Psicologia sociale a Napoli e in procinto di organizzare a Caserta, l'11 novembre, un convegno sui diritti delle vittime: "Sarebbe rassicurante definire un prototipo, sapremmo come agire. In realtà i rischi mutano non solo perché ogni caso è diverso, ma all'interno dello stesso caso ci sono tempi e momenti diversi".
La Baldry ha appena dato alle stampe un libro ('Dai maltrattamenti all'omicidio', Franco Angeli), in cui si prova a tracciare un recinto e offre una metodologia utile per prevenire la recidiva e l'escalation della violenza. Elenca i dieci fattori di rischio e descrive i formulari per la sua valutazione. Quanto di più scientifico, insomma, c'è a disposizione, ma su un terreno scivoloso in cui si devono valutare troppe variabili indipendenti. Riassume la studiosa: "L'uomo che usa violenza non è un 'violento per natura'. Il suo non è un destino ineluttabile. Con i maltrattamenti, nella maggior parte dei casi siamo di fronte a situazioni di apparente normalità, dove chi agisce la violenza sceglie di farlo e così come sceglie di agirla può decidere se e quando non usarla più". Almeno nel 30-40 per cento dei casi di uxoricidio da lei studiati nella vita, la possibilità che fossero consumati era insospettabile dall'esterno. Alla base delle botte, delle lame e delle pallottole c'è un retaggio antico, sopravvissuto purtroppo nell'Italia del 2000: "C'è", chiosa, "la volontà di poter controllare, fin nei minimi dettagli, la vita di un'altra persona. Di punirla per essersi sottratta".

In Italia sono 250 al giorno le donne che vengono aggredite dal loro partner o dal loro ex partner. Nel tempo che avete impiegato a leggere questo articolo è successo, da qualche parte, almeno due volte.

Operazione Monitor

Certo che c'è una emergenza stupri, come c'è un'emergenza per la violenza domestica e per le molestie persecutorie. Lo crede appassionatamente Barbara Pollastrini, la ministra delle Pari opportunità, convinta che l'attacco ai diritti umani delle donne, in particolare in Italia, è la grande questione rimossa di questo inizio secolo.

È decisamente duro il compito che Pollastrini si trova davanti, in un piccolo ministero

senza portafoglio (ma lei promette di battersi per farglielo ottenere, come in altri paesi europei), e con un insieme di leggi che spesso non sono in grado di rendere giustizia alle vittime delle violenze né tantomeno di proteggerle.

Parte da qui la scelta di creare anche in Italia un Osservatorio sulla violenza alle donne, che dovrebbe prendere il via subito dopo il varo della Finanziaria. Oltre a monitorare ragioni e modalità di un fenomeno finora pochissimo indagato e a promuovere una campagna d'informazione, a partire dalle scuole, "che arrivi a toccare la coscienza maschile", avrà il compito importantissimo di dare sostegno e visibilità alla rete dei 110 centri antiviolenza che già esistono. Ma anche polizia e carabinieri dovranno attivarsi, creando nuclei specializzati a cui una donna minacciata potrà chiede aiuto (varie vittime dei delitti più recenti l'avevano fatto inutilmente). E intanto, nei pronto soccorso degli ospedali, ci saranno alcuni medici collegati con la forza pubblica.

"Ma è anche sul terreno delle leggi che è indispensabile muoversi", sostiene la ministra Pollastrini, "perché se si deve fare l'impossibile per prevenire, bisogna anche avere gli strumenti per reprimere". Ed ecco in arrivo un disegno di legge, steso con i ministeri della Giustizia e degli Interni, che trasforma le molestie, per cui oggi è prevista solo una multa, nel reato di stalking, di persecuzioni violente (fino a quattro anni). E che lavora sulla riduzione delle attenuanti nei processi per stupro. "Inutile scandalizzarsi, qualcosa deve cambiare", dice Pollastrini. "Sono troppi gli stupratori in libertà che abbiamo visto finora". Ch. V.