di Paolo Forcellini
Licenze sempre bloccate. Vetture sempre troppo poche. E adesso una richiesta dei tassisti di aumentare le tariffe. Già dimenticata la liberalizzazione di Bersani
Tanto tuonò che non piovve. Chi non ricorda i proclami infuocati che imperversarono tra giugno e luglio: da un lato il governo, in particolare Pierluigi Bersani, ministro per lo Sviluppo, prometteva di liberalizzare il servizio dei taxi, superando l'era delle licenze col contagocce; dall'altro le lobby dei tassisti, furibonde, che garantivano il blocco delle città se si fossero toccati i loro privilegi. Attorno, cittadini-utenti che plaudivano all'alba del nuovo giorno, caratterizzato da vetture abbondanti e da costi frenati dalla concorrenza, e pasdaran dei conducenti pubblici che minacciavano sfracelli. Era tutto uno scherzo: tre mesi dopo, le trattative tra politici e tassinari proseguono a livello locale, ma dall'orizzonte è scomparsa la questione licenze, mentre se n'è affacciata un'altra, l''adeguamento' delle tariffe, cioè tutto il contrario dell'obiettivo di partenza. Ripercorriamo le tappe principali di questa liberalizzazione all'amatriciana.

La madre di tutte le défaillance del riformismo su quattro ruote è stata la svolta impressa a metà luglio da Bersani con due affermazioni: 1. Non sono indispensabili nuove licenze se l'obiettivo - più auto bianche in circolazione - si può raggiungere altrimenti; 2. È opportuno che le soluzioni concrete siano concordate a livello comunale. Con questi escamotage il dicastero di via Veneto passava il cerino acceso nelle mani dei primi cittadini delle grandi città, con spalle meno robuste del governo e costretti ad affrontare corporazioni pesanti sul terreno elettorale locale. Ovviamente impensabile che la moltiplicazione delle licenze, cacciata dalla porta di Bersani, rientrasse dalla finestra di Walter Veltroni o di Letizia Moratti. Non restava altra strada che la concertazione con decine di sigle sindacali per cercare di ottenere il prolungamento dei turni. Trattative defatiganti e suscettibili di essere rimesse in discussione dai tassisti a ogni piè sospinto, essendo venuto meno il deterrente principale, la liberalizzazione. A Milano la giunta Moratti aveva dimostrato fin dall'inizio scarsa propensione a dare manforte a una riforma targata Bersani. Le trattative hanno quindi riguardato per lo più aspetti secondari, come la liberalizzazione dei turni nella stagione delle fiere o gli sconti per le donne che di notte viaggiano da sole. Quanto alle nuove licenze ha preso piede una parola magica: moratoria. Nel frattempo i conducenti chiedono alla Regione aumenti delle tariffe. A Napoli tutti d'accordo: i taxi sono troppi e la vita dei conducenti è grama, neanche a parlarne di liberalizzazione delle licenze. "Bisognerebbe invece toglierne almeno 700 su 2.370", sostiene Paolo Esposito, presidente del consorzio Taxivagando. Anche a Torino fumata nera. A Pisa invece la ventata liberalizzatrice ha partorito 15 nuove licenze, a Firenze 60. Ma il caso di Roma è certo il più emblematico.

A fine agosto nella capitale le campane suonano a festa: l'accordo tassinari-Campidoglio è raggiunto. Prevede 2.500 vetture aggiuntive in circolazione ogni giorno, mediante un prolungamento degli orari. I conducenti potranno scegliere se coprire essi stessi i nuovi turni, o farsi aiutare dai familiari, oppure, soluzione che i più vedono come il fumo negli occhi, assumere sostituti. L'intesa appare più succulenta poiché guarnita da diverse 'delicatessen': una tariffa fissa per i tragitti Roma-Fiumicino e Roma-Ciampino e un centinaio di vetture aggiuntive alla stazione Termini con destinazione esclusiva per il centro città. Era previsto che l'accordo andasse a regime entro il primo ottobre. Il Campidoglio si è quindi affrettato a tappezzare l'Urbe di manifesti per decantare le magnifiche sorti e progressive del trasporto su taxi nell'era nuova che, a leggerli, sarebbe già cominciata. Ma già dai primi di settembre erano invece iniziate a risuonare le campane a morto sulla concertazione.

La maggior parte dei tassisti non aveva alcuna intenzione di ingaggiare sostituti. Inoltre è lecito il sospetto che, senza controlli, vi sarebbero più auto in circolazione solo nei turni addizionali più comodi e con più 'polpa' (di clienti). Per questo, già in sede d'intesa si era stabilito che si dovessero varare sistemi di monitoraggio delle vetture in circolazione. Viene così alla ribalta la questione 'gps', il sistema di controllo satellitare per verificare quante macchine siano per strada in ogni momento. "Un attentato alla privacy", tuonano le sigle sindacali dei tassisti, e primo fra tutti Loreno Bittarelli, leader della cooperativa romana più consistente, il 3570. Controproposta dei conducenti: istituire la firma su un registro a inizio e fine di ogni turno. Dove piazzare i registri? E chi controllerebbe la veridicità delle firme? Non si sa. E non si saprebbe mai neppure come decide di occupare il tempo il firmatario, dopo aver apposto il suo autografo. I maligni insinuano che l'allergia al gps sia dovuta anche a motivi fiscali.
L'assessore alla Mobilità, Mauro Calamante, getta acqua sul fuoco: dalle delibere scompaiono le parole 'controllo satellitare' e compare la dicitura 'sistema di monitoraggio'. Calamante rassicura: "Il sistema satellitare può dare una marea di informazioni: a noi interessa conoscere solo l'inizio, la durata e la fine dei turni. Vogliamo garantire la privacy". Ma ai conducenti non basta. Non ne vogliono sapere di satelliti. Il tira e molla continua. Al punto che il buonista per eccellenza, Veltroni, sfodera l'arma finale: "Se non ci state concederò 2.500 nuove licenze". Al momento la minaccia non ha avuto seguito e le trattative proseguono. Ai parcheggi le auto bianche intanto continuano a latitare. In una sera qualsiasi di un giorno feriale qualsiasi, un cronista di 'Repubblica' ha telefonato ai 47 parcheggi di vetture pubbliche della Capitale: solo quattro hanno risposto. Perfino i più strenui paladini dei tassinari a volte tentennano. Domenica 8 ottobre, alla fine dell'assemblea di An, centinaia di delegati sono rimasti appiedati: non c'era verso di trovare un taxi. E qualcuno ha cominciato a convertirsi al 'primo' Bersani.

Intanto i tassisti romani hanno messo sul tavolo una nuova mina vagante: la richiesta di adeguare le tariffe, ferme dal 2001. Il cerchio si chiude: l'estate era cominciata annunciando una riforma per ridurre i prezzi, l'autunno all'insegna di aumenti. Secondo i test effettuati con un doppio tassametro, la variazione media per un percorso urbano supera il 20 per cento.

Una delle grandi conquiste dell'accordo di fine agosto è la tariffa fissa da Roma a Fiumicino. Se il viaggiatore parte o arriva entro le Mura Aureliane il prezzo è di 40 euro. Negli altri casi rimane in vigore il tassametro. Semplice e trasparente? Mica tanto. Innanzitutto la più parte dei viaggiatori non è così ferrato nella storia dell'Urbe da conoscere l'esatto perimetro delle Mura. San Pietro, ad esempio, sta dentro o fuori? Analoghi, angosciosi dilemmi si pongono per i taxi destinati al solo trasporto di clienti da Termini al centro città e per i quali è prevista una fila d'attesa dedicata. Chi glielo spiega ai forestieri se il loro hotel sta entro o fuori le Mura? Così, fin dai primi giorni, in molti sono costretti a fare due code perché al primo tentativo hanno toppato. Quanto al tragitto aeroporto-centro, sorpresa: in molti casi la vecchia tariffa a tassametro è più economica del nuovo prezzo fisso.

Il colmo del grottesco è stato raggiunto quando il Comune di Fiumicino ha deciso che la tariffa aeroporto-centro di Roma, per le vetture con licenze rilasciate dall'ex XIV circoscrizione romana (Fiumicino fa Comune a sé dal '92), è di 60 euro. La giustificazione non è peregrina: ai tassisti fiumicinesi, infatti, una volta giunti a Roma, è vietato caricare clienti. Il maggior onere compenserebbe quindi il viaggio di ritorno a vuoto. Così il passeggero che arriva allo scalo punta a una specie di roulette: taxi romano 40, taxi di Fiumicino 60. Succede quindi che la fila dei taxi disponibili si blocchi: nessuno vuole salire sulla vettura più costosa. L'astuto Veltroni ha avanzato una proposta-tampone: all'aeroporto si formino due code, una di conducenti romani e l'altra dei fiumicinesi. Il primo cittadino di Fiumicino l'ha respinta con sdegno: "Una presa in giro".

A consolazione dei confusi clienti, la roulette è a basso rischio: i tassinari del Comune sul litorale sono solo 38, contro i quasi 6 mila della capitale.