di Enrico Lagattolla

    Milano - Interventi «inutili», «pericolosi», «inaccettabili». Sono medici a scriverlo. Sono le relazioni redatte dai consulenti della procura di Milano. Tra le loro mani, oltre 4mila cartelle cliniche sequestrate nella clinica privata Santa Rita, convenzionata col Sistema sanitario nazionale. Nella casa di cura milanese, tra il 2005 e il 2006, passano migliaia di pazienti. E decine di questi, accertati dalle indagini, sarebbero stati operati quando non ce n’era alcun bisogno, per gonfiare i rimborsi della Asl. Ablazioni del seno, interventi ai polmoni, chirurgia invasiva al posto di semplici terapie farmacologiche.

     In totale, 93 casi scoperti dai militari del Nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza di Milano. Ottantotto episodi di lesioni, e cinque decessi.

    Per questo, ieri, le Fiamme gialle hanno notificato 14 ordinanze di custodia cautelare firmate dal gip Micaela Curami. Due in carcere (Pierpaolo Brega Massone, primario di chirurgia toracica, e Pietro Fabio Presicci, uno dei suoi collaboratori) e 12 ai domiciliari. Tutti medici, oltre al rappresentante legale e socio unico della struttura sanitaria, Francesco Paolo Pipitone. La stessa casa di cura - a cui sono stati sequestrati 2 milioni e mezzo di euro che la Regione avrebbe dovuto rimborsare - è iscritta nel registro degli indagati. Le accuse a vario titolo sono di omicidio volontario, lesioni personali gravissime e truffa. C’è anche l’aggravante di crudeltà, contestata almeno in cinque casi. L’inchiesta, coordinata dai pm Grazia Pradella e Tiziana Siciliano, nasce da una denuncia anonima arrivata alla Gdf che invita a «scoperchiare» il vaso della Santa Rita. Gli investigatori indirizzano le indagini su una presunta truffa al Sistema sanitario nazionale, attraverso il metodo dei Drg (Diagnosis related group), le schede di dismissione con cui le cliniche convenzionate ottengono i rimborsi pubblici.

    Ma quella è solo la superficie. Perché dietro ai ricoveri e alle operazioni inutili, gli investigatori hanno scoperto quella che il gip nell’ordinanza di custodia cautelare definisce «una irragionevole aggressività chirurgica» che «fuoriesce da ogni possibile canone di ragionevolezza». Il giudice sottolinea la «mancanza di ogni considerazione per il paziente e per la sua sofferenza, non solo non alleviata ma al contrario aumentata con l’effettuazione dei descritti interventi che lascia effettivamente sbalorditi». La decisione di procedere alle operazioni, poi, per il gip «implica all’evidenza l’accettazione del rischio, elevato e certamente prevedibile, del verificarsi dell’evento morte nel corso dell’intervento o in diretta dipendenza dello stesso».

    Perché così è accaduto. Cinque volte. Pazienti anziani di età compresa tra i 65 e 85 anni che non avrebbero dovuto essere sottoposti a interventi a rischio, o addirittura malati terminali, sottoposti a interventi «del tutto inutili», perché «l’età e le patologie in atto non potevano non essere ritenuti, da medici specializzati in chirurgia toracica, ad alto rischio della vita dello stesso malato». E tutto perché un intervento complesso porta denaro. Alla clinica, ma anche ai medici. Uno stipendio base da 1.700 euro, infatti, poteva «lievitare» fino a 27-28mila euro.

     

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