di Paolo Pontoniere da San Francisco
L'effetto serra scioglie la calotta artica. Si scoprono giacimenti di idrocarburi, argento, nickel, titanio, diamanti e cromo. E si scatena una nuova corsa all'oro. Fra ricchi avventurieri e Stati ingordi
Ghiacciai in Groenlandia
Eccolo là, il nuovo Eldorado fino a oggi, e da milioni di anni, coperto dai ghiacci del Polo Nord. Che viene alla luce giorno dopo giorno, man mano che il progressivo innalzarsi della temperatura della Terra scioglie la calotta polare. E rivela ricchezze naturali insospettabili. In gran parte si tratta di idrocarburi (petrolio, gas e idrati di metano), ma il suolo artico è ricco anche di metalli rari come il titanio, il cromo, il nickel, l'oro e l'argento, e di pietre preziose. Infatti è proprio grazie allo sfruttamento minerario dei territori del Circolo polare artico che il Canada è diventato il terzo produttore mondiale di diamanti. E il governo russo stima che, nel complesso, questi giacimenti valgano almeno 2 trilioni di dollari.

Sarà che per l'intero pianeta l'effetto serra è una sciagura, ma agli abitanti di Churchill, un avamposto d'un migliaio d'anime sulle sponde occidentali della baia artica di Hudson, e agli Inuit di Nunavut, appare piuttosto una benedizione. Man mano che il ghiaccio libera appezzamenti di terra e specchi di mare che erano prima irraggiungibili, aziende petro-minerarie, esploratori, ferrovieri, naviganti, esperti immobiliari e avventurieri ci si fiondano a capofitto, gettando le prime teste di ponte di quella che nei prossimi vent'anni diventerà una e vera invasione industriale. Niente a che fare, per impatto e dimensioni, con la corsa al petrolio artico, iniziata negli anni Sessanta, ma fino a oggi arginata dagli ambientalisti.

La faccenda dell'oro nero tra i ghiacci era cominciata verso la fine degli anni '60, quando la Arco scoprì sul versante nord dell'Alaska, il North slope, dei giacimenti petroliferi di vaste dimensioni, e cominciò a trivellare territori che il governo Usa gli aveva concesso in usufrutto. Seguita a ruota dalle maggiori compagnie petrolifere del pianeta, aziende come la BP e la Chevron, che in zona vantavano concessioni che a tutt'oggi sono solo parzialmente sfruttate. Negli anni '90, poi, i petrolieri puntarono a espandere le trivellazioni nelle le riserve del Rifugio Naturale, ma, almeno fino a oggi, l'opposizione degli ambientalisti ha bloccato tutto.

Con lo scioglimento dei ghiacci e l'espandersi del business, la pressione cresce, e fanno rotta verso il Polo avventurieri come Pat Broe, miliardario di Denver, fondatore della Broe Enterprise, una delle maggiori compagnie immobiliari del Colorado. Nel 1997 ha comprato il porto di Churchill dal governo canadese pagandolo meno di 7 dollari. Oggi l'approdo, diventato una delle porte dell'Artico, riceve le merci destinate allo sviluppo dei giacimenti della regione occidentale del continente e fattura decine di milioni di dollari l'anno. Milioni che, secondo Broe, nel giro di pochi anni potranno diventare centinaia.

Mentre il miliardario di Denver occupava Churchill, la OmniTrax, una delle più grandi compagnie ferroviarie americane, specializzata nella realizzazione di progetti commerciali ad alto rischio, si affrettava a estendere il suo raggio d'azione verso l'isola di Baffin e la baia di Hudson: oggi sta costruendo linee ferroviarie sul suolo artico permanentemente ghiacciato, ma che ora è in via di scioglimento, impresa non solo ostica per il tipo di ecosistema che la ferrovia deve attraversare, ma anche assai complessa dal punto di vista ingegneristico. Perché costruire sul suolo ghiacciato che si scioglie è come costruire su un pezzo di gelatina la cui consistenza varia a secondo del clima e della posizione geografica. Si tratta di un suolo che, durissimo un giorno e acquitrinoso l'altro, può essere allo stesso tempo solido su un versante e soffice sull'altro.

"Le difficoltà logistiche da superare nei prossimi anni saranno inimmaginabili", afferma Larry Mayer, direttore del Center for Costal and Ocean Mapping dell'Università di New Hampshire a Durham: "Ma chi non risica non rosica e il premio in questo caso può essere strabiliante. Si tratta di riserve che potrebbero valere centinaia di migliaia di miliardi". Anche perché, osserva Mayer, "ad alimentare la rincorsa allo sviluppo del Polo Nord contribuisce poi l'approvazione della Legge dei Mari".
Il trattato delle Nazioni Unite, entrato in vigore nel 1994, regola la spartizione della acque oceaniche tra le nazioni del mondo, e stabilisce che la sovranità nazionale di uno Stato costiero si estende, se si tratta della continuazione naturale della sua piattaforma continentale, sui fondali marini posti a una distanza massima di 350 miglia dalle sue coste. Eccetto però quando questi danno origine a una catena montagnosa. In quel caso la giurisdizione del paese si applica anche al sistema montagnoso. Sfruttando questa definizione la Russia ha per esempio reclamato il 50 per cento dei fondali artici, la Danimarca tutti i territori che vanno dalle coste della Groenlandia al punto dove è fisicamente localizzato il Polo Nord geografico, mentre la Norvegia rivendica 60 mila miglia quadrate del fondale compreso tra le sue coste e il Circolo polare artico.

Il trattato interessa anche il Canada e gli Stati Uniti. Ma mentre il Canada, i cui possedimenti includono anche il mitico passaggio di nord-ovest (il canale marittimo che attraversando il Polo Nord dovrebbe collegare l'Europa all'Asia), sta negoziando con gli altri quattro Stati confinanti con il Polo, gli Usa si sono rifiutati di ratificare il trattato. Inizialmente perché favoriva troppo l'ex Unione Sovietica, e adesso perché una parte dei diritti per lo sfruttamento delle acque internazionali potrebbero finire nelle tasche di governi che finanziano il terrorismo.

Tra le difficoltà logistiche che si incontreranno nello sfruttamento delle risorse artiche c'è anche quella di preservare ciò che già oggi esiste: le autostrade, gli oleodotti, gli aeroporti, le università, gli ospedali e tutte le altre strutture pubbliche edificate nelle regioni artiche degli Usa e del Canada. Realizzate supponendo che le condizioni ambientali sarebbero rimaste immutate, queste strutture siedono oggi su terreni la cui morfologia cambia a vista d'occhio. E così ci si trova di fronte a strade, ponti e piloni che devono essere congelati per impedire che sprofondino. A piste d'atterraggio che si sfaldano. A trivelle che devono superare barriere di ghiaccio dalla durezza variabile e che devono resistere a pressioni sconosciute in terreni di cui si ignora la natura esatta. "Lo sviluppo e la ricerca di queste soluzioni richiede grossi investimenti, ma produce una ricaduta tecnologica di cui beneficerà tutta l'umanità", dichiara Mayer.

Al Polo infatti è un continuo approdare di missioni geologiche e commerciali. Spedizioni danesi si incrociano con quelle canadesi sull'isola di Hansen. Rompighiaccio norvegesi e russi si spingono nel mar di Barent attirati dai vasti giacimenti petroliferi. Usa e Canada si fronteggiano al largo dell'isola di Ellesmere. Dove i norvegesi della Statoil stanno costruendo il più grande serbatoio di gas naturale del mondo: Snohvit, Biancaneve.

"Da qui gli statunitensi importeranno il 10 per cento del loro fabbisogno nazionale", dichiara Knud Robberstad, rappresentante della Statoil. Costo sugli 8,8 miliardi di dollari, Snohvit nel 2007 comincerà a pompare gas verso il porto statunitense di Cove Point.

"Non si tratta d'una invasione disordinata alla maniera della corsa all'oro californiana", assicura però Rob Hueber, esperto di sicurezza internazionale alla Università di Calgary: "Ma se non troviamo presto un modo per permettere alle compagnie private, che già premono alle frontiere, di sfruttare le risorse dell'Artico, si creeranno le premesse per una grande conflagrazione di carattere industrial-militare alle falde dei ghiacci polari".

Un conflitto che Michael T. Klare, professore di economia politica all'Hampshire College di New Haven in Connecticut, non ha paura di paragonare alla Guerra fredda: "Non è una corsa agli armamenti, ma alle risorse naturali dell'Artico. Putin è deciso a fare della Russia una superpotenza energetica e Bush non glielo permetterà. Inoltre è una guerra che porrà anche gli alleati della Nato l'uno contro l'altro".

Per ora, le diplomazie tacciono. Ma Shell e Conoco hanno cominciato a trivellare nei territori degli Inupit, la Greenland Brewery produce birra con l'acqua dei ghiacciai dell'isola, 700 mila tonnellate di grano sono passate dal porto di Churchill e l'agosto scorso la prima nave crociera russa è apparsa nel mezzo del passaggio di nord-ovest senza la scorta dei rompighiaccio: l'assalto commerciale ormai è inarrestabile.

Il mondo diviso da Kyoto

di Daniele Fanelli
Firmando nel 1998 il Protocollo di Kyoto, i paesi industrializzati si sono impegnati

a ridurre entro il 2012 le emissioni di gas-serra del 5,2 per cento, rispetto ai livelli del 1990. Un'autorità assegna a ogni paese delle quote di emissione, in base ai dati che questo le ha fornito.

Le quote possono essere comprate o vendute sul mercato, e possono essere ottenute finanziando progetti in altri paesi industrializzati e nei paesi via

di sviluppo. Nel migliore dei casi, grazie a Kyoto la temperatura

nel 2100 sarebbe salita di 2 C anziché 2,1 C, e il livello dei mari di 48.5 cm anziché 50 cm. Ecco come hanno risposto i grandi paesi produttori di anidride carbonica.

Italia Dopo un lungo e sofferto braccio di ferro fra i ministri dell'Ambiente e dello Sviluppo economico, che ci è costato anche una procedura di infrazione, l'Italia ha finalmente presentato il suo piano nazionale di taglio delle emissioni. Un tetto di 200 milioni di tonnellate di anidride carbonica l'anno, da ottenere con progetti di aumento dell'efficienza energetica, di riforestazione e di impiego di fonti rinnovabili, che dovranno essere attuati in Italia per almeno

il 75 per cento.

Germania Ha recentemente annunciato che esenterà la sua industria del carbone dagli obblighi di taglio. Inoltre, ha ricevuto quote di emissione in eccesso grazie a un difetto nel sistema di attribuzioni

di cui hanno beneficiato anche Francia e Danimarca.

Russia Si trova ben al di sotto dei limiti che le sono stati imposti. Come tutti i paesi ex sovietici, guadagnerà dalla vendita dei propri crediti e da finanziamenti esteri.

Cina Come gli altri paesi in via

di sviluppo, è esentata dagli obblighi di Kyoto. È la principale beneficiaria degli investimenti esteri, su cui il governo cinese ha imposto una discutibile tassa del 65 per cento.

Canada Il nuovo governo conservatore ha annunciato

di non poter rispettare gli impegni di Kyoto.

Australia Non ha ratificato il protocollo di Kyoto, sebbene questo non le chiedesse di tagliare

le proprie emissioni, ma solo di evitare un aumento superiore all'8 per cento. In compenso ha avviato un mercato interno delle quote di emissione.

Stati Uniti Si oppongono alla logica di attribuzione delle quote, che favorisce i paesi in via di sviluppo. Ciononostante,

circa 280 città e nove Stati hanno spontaneamente aderito agli impegni di Kyoto. E in questi giorni si celebra un processo in cui

12 Stati e diverse organizzazioni chiedono alla Environmental protection agency di classificare l'anidride carbonica come inquinante, il che obbligherebbe

la legge americana a ridurne

le emissioni.