Per il Si, la strada sembrava in discesa. Ma, a poche ore dall’apertura delle urne, se a Dublino fremono, a Bruxelles tremano. Già perché gli ultimi sondaggi dicono che gli irlandesi potrebbero fare un altro brutto scherzo all’Unione Europea e bocciare il Trattato di Lisbona nel referendum di giovedì prossimo.

 I favorevoli, il 34%, sono in testa, mentre i contrari si attestato al 27%. Il fatto è che la maggioranza degli elettori, il 35%, sarebbe ancora incerta sul da farsi. Così, nonostante il Taoiseach, il capo del governo irlandese, Brian Cowen, si sia buttato anima e corpo nella campagna elettorale; nonostante i principali partiti, a parte lo Sinn Feinn, appoggino il trattato europeo, i 4,2 milioni di irlandesi chiamati ad esprime un “Nil” o un “Tà” (in gaelico) potrebbero ripetere l’euro-shock del 2001, quando Dublino rigettò (per referendum) il Trattato di Nizza, approvato “in seconda battuta” con una nuova consultazione popolare, convocata l’anno dopo. L’ex “Tigre Celtica” d’Europa”, la nazione che più di altre ha sviluppato la propria economia nel decennio a cavallo di fine secolo, anche grazie ai contributi elargiti da Bruxelles, ora vive una fase di euroscetticismo e ha paura di perdere, in nome dell’Europa, altri “pezzi di sovranità”. Per questo lo slogan del fronte del No - “C’è gente che è morta per la tua libertà. Non buttarla via” - ha fatto presa su un’opinione pubblica già intimorita da fenomeni complessi legati alla globalizzazione quali l’immigrazione, la disoccupazione, il progressivo indebolimento dello Stato Sociale.

O'Connel Bridge

Fine del miracolo irlandese. “Dopo la fese di grande sviluppo economico e sociale degli anni’90, ora l’Irlanda è rientrata nei parametri di un paese “normale” - dice Robert Leonardi, docente italo-americano della prestigiosa London School of Economics ed esperto di questioni irlandesi. “Questa campagna elettorale sta riportando a galla tutti i problemi di identità nazionale. Siamo tornati, dal mio punto di vista, a un’Irlanda piccola, non più protagonista sulla scena europea”. Un salto all’indietro di almeno 20 anni, a prima del 1988, all’inizio della clamorosa fase di crescita economica. Secondo il politologo, l’Isola Verde è tornata a soffrire dei suoi atavici incubi isolazionisti. Leonardi non usa mezzi termini: “La partita europea è stata persa da Dublino. La sua classe dirigente, nel complesso, non è stata all’altezza. Non ha più fiducia in se stessa, nella possibilità di vincere le sfide globali che deve affrontare”. Torna quindi, il riflesso (o la voglia) d’isolamento che pervade la storia irlandese. Dopo la dichiarazione d’indipendenza nel 1920, che la fece uscire dall’Impero Britannico, Dublino visse decenni quasi in solitudine, terminati con l’adesione all’Unione Europea nel 1976. Con la creazione del mercato unico, dopo aver scelto la strada dell’integrazione, l’Irlanda è stata in grado di vivere la fase di maggiore espansione della sua storia recente.

Rischi per l’Europa. “Ora – ribadisce Leonardi – siamo tornati a un isolamento politico e culturale”. Il fronte del No punta su questo sentimento diffuso per vincere la partita del referendum di giovedì. Il Trattato di Lisbona viene presentato come il cavallo di Troia per fare aumentare le tasse, erodere l’autonomia militare e diplomatica. Anche la liberalizzazione dell’aborto, uno spettro nella cattolica Irlanda, è diventato tema della disputa elettorale. Così, i fantasmi irlandesi hanno nelle loro mani il destino dei quasi 500 milioni abitanti del Vecchio Continente. Anche perché soltanto in Irlanda, la ratifica passa attraverso il voto popolare. Negli altri paesi sono stati (o saranno) i parlamenti nazionali a dare il via libera alla carta di Lisbona. Ma, se dovesse vincere il No, veramente si fermerebbe – ancora una volta – la locomotiva (un po’ stanca, a dir la verità) dell’integrazione europea ? “Certo che il segnale sarebbe preoccupante, ma non penso che ci troveremmo di fronte ad uno stop definitivo – risponde il docente della London School of Economics - Dublino sarà costretta a riconvocare un secondo referendum, come è già avvenuto in passato”. Secondo Robert Leonardi, il Trattato deve andare avanti. L’Europa ha bisogno del rafforzamento delle strutture di guida e leadership, del nuovo equilibrio di peso e potere - a seconda della grandezza del paese – offerta dal patto portoghese. Soltanto così, riuscirà ad affrontare le sfide globali del futuro. Il confronto-competizione con gli Usa, la Cina e l’India, per decidere della crescita dell’Europa nei prossimi decenni, passa attraverso la “piccola-grande” Dublino.

 

 

Fonte