E ora è emergernza per il rincaro dei generi alimentari, che potrebbe vanificare i progressi dell'ultimo decennio

 
CARLA RESCHIA
E’ un’immagine da Rivoluzione industriale, da libro di Dickens, ma è terribilmente attuale: bambini al lavoro invece che a scuola, costretti in luoghi bui e malsani, anche di notte, anche nei giorni festivi, per dodici e più ore di fila. In occasione della Giornata contro il lavoro minorile, che cade domani, 12 giugno, e che quest’anno è dedicata al tema dell’istruzione, l’Ilo, l’Organizzazione internazionale del lavoro, aggiorna e diffonde dati impietosi.

Nel mondo circa 165 milioni di bambini di età compresa tra i 5 e i 14 anni lavorano; di questi 74 milioni sono coinvolti in attività pericolose. Un minore su sette nel mondo, insomma, non ha diritto all’infanzia. Se poi si amplia la fascia d’età fino ai 17 anni, il numero dei minorenni sfruttati sale a 218 milioni e se si valuta in base alla frequenza scolastica si scopre che 72 milioni di bambini non vanno semplicemente mai a scuola, nemmeno quella di base, che da noi è definita dell’obbligo. Una cifra che non è divisa per sesso; ma se lo fosse si scoprirebbe che riguarda soprattutto le femmine, ancora una volta ultime fra gli ultimi. È l’Africa sub-sahariana, con circa 50 milioni di minori lavoratori, pari al 26 %, la regione con la più alta incidenza di minori “economicamente attivi”.

L’Asia e il Pacifico invece, pur contando 122 milioni di bimbi lavoratori, quasi il 20%, sono considerati esempi virtuosi perché ne fanno registrare 5 milioni in meno rispetto a quattro anni fa. Un buon lavoro stanno facendo America Latina e Caraibi dove il numero dei minori lavoratori è sceso di due terzi tra il 2000 e il 2004, con appena il 5% di bambini tra i 5 e i 14 anni coinvolti nel lavoro. Si tratta, però, pur sempre di 5,7 milioni di piccoli schiavi. Ma si sbaglierebbe a leggere il fenomeno come qualcosa che riguarda gli altri, il Sud del mondo, i Paesi in via di sviluppo. Nei paesi industrializzati, nel 2000, lavoravano circa 2,5 milioni di minori al di sotto dei 15 anni. E’ l’agricoltura, con 7 minori su 10, il primo settore d’impiego di questo mondo senza pietà; il 22% lavora nel settore dei servizi; il 9% nell’industria, che comprende il settore minerario, edile e manifatturiero. Eliminare questa piaga, ha calcolato l’Ilo, costerebbe 760 miliardi di dollari su un periodo di 20 anni. Ma offrirebbe benefici in termini di istruzione e salute per oltre 4 000 miliardi di dollari.

Secondo uno studio dell’organizzazione con l’eliminazione del lavoro minorile e la sua sostituzione con l’istruzione universale, i benefici superrerebbero i costi in un rapporto 6 a 1. Ogni anno supplementare di scuola, fino all’età di 14 anni, genera per il futuro l’11% di reddito in più all’anno. Sarebbe quindi un affare, in termini strettamente finanziari. Eppure non se ne vede la fine. Benché il numero di minori lavoratori, secondo i dati dell’Ilo, tra il 2000 e il 2004 sia comunque sceso dell’11% e la diminuzione più importante (26%) riguardi proprio i lavori pericolosi, ora c’è un nuovo allarme. L’impennata dei prezzi del cibo e la conseguente crisi alimentare mondiale hanno avuto un «effetto shock». L’ economista ed esperto dell’Ilo, Furio Camillo Rosati, spiega che l’aumento del prezzo del cibo mette a rischio il trend positivo.

Lo shock provocato dall’improvviso aumento della spesa familiare, infatti, ha avuto un impatto immediato sulle condizioni di vita dei bambini, che in queste situazioni sono usati come una sorta di assicurazione: la famiglia si difende dalla povertà mandandoli a lavorare per avere un’entrata in più. «Una condizione che, nel lungo periodo, può diventare rischiosa - afferma – se i genitori trovassero più conveniente per il bilancio familiare mandare i figli a lavorare piuttosto che a scuola». Per questo, avverte l’economista, «Non si deve sottovalutare il problema e occorre tutelare le famiglie povere con politiche che riducano il rischio». E c’è anche un rischio ulteriore, avverte Rosati, perché si tratta di un fenomeno che in alcuni Paesi è strutturale ma in altri può diventarlo con l’aumento improvviso di sacche di povertà. Dal rapporto arriva anche, indirettamente, un’indicazione di lavoro. Per ridurre il fenomeno del lavoro minorile, secondo un rapporto dell’iniziativa Education for All (Efa), il mondo ha bisogno di 18 milioni di nuovi insegnanti qualificati per raggiungere l’obiettivo dell’istruzione primaria universale entro il 2015.