Undici anni dopo la scomparsa della pornodiva, un esposto mette in dubbio la versione ufficiale. I parenti replicano: «Sono solo cattiverie, lasciateci stare»

Claudia Passa

 


da Roma

Amici e «colleghi» non vogliono neanche sentirne parlare, i familiari respingono al mittente le «cattiverie», si dicono «infastiditi».

Eppure per qualcuno la morte (o non morte) di Moana Pozzi sembra ancora avvolta dal mistero, se è vero che a undici anni dalla scomparsa della pornodiva un esposto ha indotto la Procura di Roma ad aprire un fascicolo d’inchiesta.
Un cadavere che nessuno o quasi ha potuto vedere, il presunto «buco nero» che avrebbe avvolto gli ultimi momenti di vita dell’attrice nella clinica di Lione dove un cancro al fegato la stroncò il 15 settembre del ’94, fors’anche una posizione mai chiusa come «editrice» ed «imprenditrice» registrata alla Camera di Commercio di Roma. Un «mistero d’Italia» a tutti gli effetti, secondo la denuncia-querela contro ignoti depositata a piazzale Clodio da Ennio Biasciucci, segretario della Coisuc (confederazione italiana utenti e consumatori), ora confluita nel fascicolo del pm Attilio Pisani.
Moana è morta per davvero? Potrebbe aver inscenato una prematura dipartita per uscire di scena e ritirarsi in una località top secret? Qualcuno potrebbe averla fatta sparire? C’è qualche falla nella ricostruzione di quel che è accaduto? Sono queste le domande su cui la Procura si metterà al lavoro già nei prossimi giorni, e che in passato sono state oggetto di altre indagini finite con l’archiviazione. Biasciucci, dal canto suo, parla di «una pluralità di indizi gravi, precisi e concordanti», nonché di «prove storiche indirette che potrebbero far elevare, previe adeguate incisive e diffuse indagini, un corpo di accusa» che il segretario del Coisuc, assistito dal penalista Antonino Ordile del Foro di Roma, individua nella «soppressione e/o sottrazione di cadavere».
Alla base dell’esposto, una monografia dal titolo Moana: giallo politico, pubblicata dall’editore Brunetto Fantauzzi, già autore di una biografia della Pozzi, che un anno fa aveva chiesto accertamenti alla magistratura romana. Nel volume si fa cenno - spiega Biasciucci - ad «alcuni racconti personali su episodi di cronaca italiana vissuti in prima persona dalla diva cinematografica». Ovvero, le presunte relazioni «confidenziali» con politici, attori, atleti e manager.
A non convincere il segretario della Coisuc è in particolare il racconto della cremazione: nessuno (o quasi) avrebbe visto l’urna, nessuno (o quasi) avrebbe visto il cadavere, nessuno in Francia avrebbe addirittura confermato che Moana Pozzi era stata ricoverata per davvero nella clinica di Lione che all’epoca non avrebbe avuto neppure in funzione un inceneritore, con le conseguenti difficoltà per la cremazione. Nessun centro italiano specializzato - stando sempre all’esposto - avrebbe mai registrato l’incenerimento del corpo dell’attrice. Quanto alla sorte delle ceneri, dapprima si sarebbe detto che erano state sparse in mare, poi sul Cervino, quindi la versione ufficiale e definitiva della sepoltura nel cimitero di Lerna. In quale punto non sarebbe dato sapere, a causa dell’assenza di un segno di riconoscimento. Il certificato di morte, infine, sarebbe arrivato in Campidoglio - con «errori anagrafici» - solo quattro mesi dopo la scomparsa.
A dire il vero, c’è invece chi giura d’aver assistito alla sepoltura a Lerna, in una tomba anonima senza foto né nome. È Mauro Biuzzi, esecutore testamentario nominato dalla stessa pornostar. «Nessun giudice mi ha chiamato, e comunque a suo tempo, nel ’94, sono stati forniti i documenti che attestano la morte di Moana - spiega -. Questa non è altro che una trovata pubblicitaria, ed è vergognoso che si faccia questa disinformazione scandalosa. Tutto ciò non fa che aggiungere sofferenza a sofferenza, e la famiglia ha già sofferto abbastanza per questo triste spettacolo».
Nessuno spiraglio, dunque, per la teoria della «morte simulata» che già fu avanzata senza troppa fortuna per Elvis Presley. Simone Pozzi, fratello dell’attrice, non la manda a dire: «Siamo infastiditi da tanta cattiveria - afferma -. Basta semplicemente guardarsi nell’intimo per capire quali possano essere le motivazioni che portano a compiere determinati gesti che non meritano nemmeno attenzione». Quanto all’editore, Pozzi ironizza: «Tra Fantauzzi e Fantozzi, meglio vedere Fantozzi. Almeno non fa male a nessuno...».

 

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