FERRARA (20 settembre) - È morto il regista ferrarese Florestano Vancini. Aveva 82 anni, era malato da tempo, ed è spirato il 17 settembre in un ospedale di Roma dove era ricoverato.

Ne ha dato notizia il Comune di Ferrara ad esequie avvenute, «per rispettare le volontà del regista». Grande, grosso, dalla voce profonda e dai gesti rudi a celare un animo sensibile e introverso; polemista appassionato, pronto a rivendicare fino all'ultimo la sua fiera passione socialista, eredità quasi genetica della terra ferrarese a cui aveva legato gli aspetti più segreti e forti della sua creatività d'artista; figura oggi appartata di un cinema italiano che lo festeggiò straordinaria rivelazione sul finire degli anni '50 e che lo elesse nel ristretto numero dei grandi registi d'impegno civile nei due decenni successivi.

Oltre 20 i suoi film a cominciare dal documentario di esordio del '57, Delta padano per concludersi ancora tre anni fa con E ridendo l'uccise, fosco melodramma storico ambientato tra il Palazzo dei Diamanti e la Reggia degli Estensi. Al suo primo film, La lunga notte del '43, del 1960, Florestano Vancini è già un cineasta a tutto tondo e non a caso la pellicola vince il premio per l'opera prima alla Mostra di Venezia. Riaprendo una pagina poco nota della Resistenza emiliana e della brutalità nazifascista, il regista riannoda le fila della lezione neorealista a cui si era formato come critico e militante, mischiando volti della strada con attori noti, scegliendo un fraseggio narrativo secco e quasi documentario, facendosi storico e cronista al tempo stesso.

Nel 1965 firma il dramma borghese Le stagioni del nostro amore, premiato a Berlino, in cui dà avvio al sodalizio con uno dei suoi attori preferiti, Enrico Maria Salerno, diviso tra la passione per la giovane Jacqueline Sassard e la misteriosa Anouk Aimeè. Nel film compare anche un attor giovane e promettente, Gian Maria Volontè, che quasi in contemporanea trovava il successo con il western spaghetti di Sergio Leone. E quel filone di immediata presa popolare seduce anche l'autore ferrarese, pronto a cambiare il suo nome con lo pseudonimo di Stan Vance per dirigere Giuliano Gemma nel 1967 ne I lunghi giorni della vendetta. Alle prese con gli stereotipi del racconto popolare, Vancini non rinnega il suo gusto per un cinema più complesso e per l'intrigo a sfondo giallo. Tant'è che il film acquista un tono pensoso e quasi astratto, dando al protagonista coloriture molto diverse da quelle del suo prediletto eroe Ringo.

Arriva il 1968, l'Italia scopre il ribellismo giovanile e la liberazione sessuale. Vancini racconterà entrambi in un paio di pellicole di buon successo e di dichiarata velleità autoriale, come in particolare Violenza al sole. Ma il suo cuore batte altrove e lo riporta presto all'intreccio di cronaca e storia con cui riesce mirabilmente ad orchestrare un controcanto alle verità ufficiali sul presente e il passato. Firma così nel 1972  Bronte: cronaca di un massacro mai raccontato, che rivela pagine sempre taciute dell'epopea garibaldina.

Florestano Vancini si rivolge negli anni '80 alla televisione e vi lascia un'impronta indimenticabile sia con il melodramma di largo respiro (La piovra 2 del 1985). Nell'ultimo decennio, tra documentari e serie tv come Piazza di Spagna del 1993, Vancini si rinchiude in un mondo privato e in un austero silenzio interrotto solo da alcune aspre polemiche contro il conformismo della società e dei suoi colleghi.

 

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