Samuel segna dopo 2', poi l'autorete di Diakitè. Ai nerazzurri basta un tempo per il sesto successo di fila


Se l’Inter giocasse sempre all’Olimpico avrebbe già vinto lo scudetto e con straordinaria facilità: anche con la Lazio, come due mesi fa contro la Roma, i nerazzurri sono filati via lisci e con il 3-0 hanno lasciato il segno di una squadra superiore come in effetti sono. Stessa trama: un gol sùbito. Allora segnò Ibrahimovic con la difesa giallorossa slabbrata nell’affrontare il contropiede dello svedese, questa volta ci ha pensato Samuel, l’uomo che è un valore aggiunto all’Inter e se Mancini non l’avesse perso per infortunio forse anche la storia della passata stagione e del tecnico marchigiano avrebbe assunto un’altra piega.

Non erano passati due minuti, Muntari metteva un cross dalla sinistra e i difensori laziali con gli occhi alla parabola si perdevano l’argentino, liberissimo di inzuccare da due passi. Era il catenaccio fissato al portone. L’Inter ci ha incantato di rado fin qui, e pure ieri non ci siamo spellati le mani ad applaudirla, però da qualche settimana la sostanza del suo gioco si è fatta più solida, la fisionomia si è definita meglio anche perché Mourinho sembra aver finito gli esperimenti. In un concetto si vede una squadra che ha imparato a sfruttare la propria potenza. Per arrivarci, il provocatore portoghese è passato alla abiura di certe sue convinzioni che parevano incise nella pietra. Ora non si vedono più le alette fumose che avrebbero dovuto portare acqua all’attacco, il tridente d’attacco è finito nel ripostiglio delle canne da pesca, Quaresma e Mancini avvizziscono stabilmente in panchina formando un monito per Moratti: non bisogna correre dietro a tutti i desideri degli allenatori perché sono come i ragazzini quando si fissano con un giocattolo. Quei due sono costati quasi 40 milioni, sembravano più indispensabili di un vaccino e prima di Natale sono già diventati inutili.

L’Inter adesso c’è e, con il 6° successo di fila, è persino meno Ibradipendente, sebbene lo svedese rimanga il perno del suo gioco e grazie a lui il calcio diventi arte: al 28’ gli abbiamo visto fare un’apertura al volo per Stankovic che è stata un pezzo unico, mai visto, chissà come ha fatto a coordinarsi e inventare in aria un movimento di gambe come se il corpo fosse snodato. E nella ripresa, dopo il gol di testa del 3-0 (ma sulla punizione di Cambiasso era in fuorigioco), Ibra si è talmente divertito con il pallone tra i piedi da far sbroccare il povero Brocchi, autore della memorabile frase «io non mi faccio prendere per il culo» che non è bastata a evitargli l’ammonizione.

La Lazio, con tutta la buona volontà di ripetere con l’Inter quanto le era riuscito in Coppa Italia con il Milan, è andata a sbattere. Ha conosciuto l’infrangibilità del centrocampo nerazzurro in cui persino Muntari si è disciplinato, ha provato a insinuarsi nella difesa con le serpentine di Foggia da cui ci si può aspettare una grande giocata come una scemenza: l’esito è stato modesto, i «pericolini» per Julio Cesar si sono materializzati in qualche tiraccio di Kolarov, il terzino serbo che ha un sinistro tanto temibile per gli avversari quanto lo è per la Lazio il suo modo di difendere. Poca roba.

Senza sbriciolare la partita né trovare grandi occasioni da gol, anche per la pochezza di Cruz, i nerazzurri hanno controllato l’indaffararsi dei laziali, messi in campo in maniera strana, con Pandev dietro a Zarate, tanto che i due un po’ si pestavano i piedi, un po’ si perdevano ciascuno per conto suo. Zarate era egoista e i compagni lo mandavano volentieri a quel paese, Pandev prima di infortunarsi e lasciare il posto a Rocchi si vedeva in una sola azione. L’Inter attendeva, attenta e composta, come chi sa che il treno prima o poi arriverà. Lo conduceva in stazione quella povera anima di Diakitè che per tutto il primo tempo si era applicato con feroce fisicità alla marcatura di Ibra e delle punte, neutralizzandole, e rovinava tutto con uno sciagurato autogol nell’ultimo minuto di recupero: sul cross di Maicon per il pensionabile Crespo, Diakite era preso da inutile affanno e metteva nella sua porta con il destro. La ripresa sarebbe stata inutile, anche se la Lazio, subito dopo il 3-0 aveva ragione a lamentarsi (e Tare, il vice di Rossi, era espulso) per una spinta in area di Muntari a Foggia e per una rete di Kolarov su punizione annullata perché l’arbitro aveva visto la barriera interista troppo vicina alla palla. Faceva ripetere il tiro. Sciaguratamente.