Il cantautore si è spento a Milano all'età di 77 anni. Era malato da tempo di cancro

 

Si è spento Enzo Jannacci, il poeta in scarpe da tennis. Di sera cantautore, cabarettista, attore. Di giorno cardiologo. Ma soprattutto tra i maggiori protagonisti della scena musicale italiana del dopoguerra.

LA LUNGA MALATTIA- Jannacci aveva 77 anni ed era da tempo malato di cancro. Il cantautore è morto alle 20.30 alla clinica Columbus, circondato da tutti i suoi familiari. Dopo gli inizi della carriera negli anni Cinquanta, Jannacci da jazzista ha suonato con i più grandi tra cui Chet Baker.

Dopo i primi 45 giri incisi con Gaber (con l'inventore del «Teatro Canzone», scomparso nel 2003, fondò il duo JaGa Brothers di cui rimane traccia in EP pubblicato nel 19839, debutta come solista con canzoni quali «L'ombrello di mio fratello» e «Il cane con i capelli». Ma a farlo conoscere al grande pubblico nel 1968 è «Vengo anch'io. No, tu no». Seguiranno altri grandi successi come «Veronica», «Messico e Nuvole», «Ho visto un re», «Vincenzina e la fabbrica» (colonna sonore del filmRomanzo Popolare del 1974 con Ugo Tognazzi e una giovane Ornella Muti) e «El purtava i scarp del tennis».

DALLA MEDICINA AL JAZZ - Jannacci era nato a Milano. Il padre era di origine pugliese anche se nato a Milano perchè il nonno, Vincenzo, era emigrato a Milano da Bari poco prima dello scoppio del primo conflitto mondiale. Il padre di Enzo era ufficiale dell'aeronautica e lavora all'aeroporto Forlanini citato in «El portava i scarp del tennis». La madre era invece lombarda. Dopo la maturità classica al liceo Manzoni ,dove conosce Gaber, Jannacci si laurea in medicina all'Università degli Studi di Milano, specializzandosi in chirurgia generale ed esercitando la professione di medico chirurgo per alcuni anni. Nel frattempo però inizia la carriera di musicista: dopo il diploma in armonia ed otto anni di pianoforte al Conservatorio di Milano, si accosta al jazz e comincia a suonare in alcuni locali milanesi.

I POVERI E MILANO - Enzo Jannacci è stato una figura dalla forza dirompente nella storia della musica italiana, perché è riuscito, pur nella sua milanesità, a portare un linguaggio nuovo, surreale, all'interno della canzone nazionalpopolare. E anche dal punto di vista musicale ha contribuito a svecchiare la proposta allora dominante. Il suo repertorio entra di diritto all'interno del canzoniere italiano del secondo dopoguerra. Ha cantato i poveri, gli ultimi, gli emarginati, ha cantato soprattutto la sua amata Milano.

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