di Lorenzo Soria
Fuori dallo star-system. Ma dentro i migliori film. La Blanchett spiega come si passa dai panni di Elisabetta a quelli di Dylan. E dalle braccia di Clooney a quelle di Pitt
Cate Blanchett
Distesa immobile sotto una coperta insanguinata in una casa di fango di un piccolo villaggio sperduto nel deserto del Marocco, con una pallottola di fucile conficcata nella spalla sinistra che la tiene sospesa tra la vita e la morte, la donna scaccia una mosca dal suo volto più pallido che mai, si rivolge al marito, che è poi Brad Pitt, e gli dice: "Me la sto per fare addosso". Lui rimedia una pentola, la aiuta a tirarsi giù mutande e pantaloni e così, con quello sfogo fisico inaspettato quanto naturale, una coppia che aveva perso con gli anni il sapore dell'amore si ritrova. Non ci sono tramonti e candele, non ci sono abbracci e sottofondo musicale che suggeriscono che adesso dobbiamo commuoverci, non ci sono nemmeno parole. Basta uno sguardo, basta un sorriso: uno sguardo e un sorriso di Cate Blanchett.

L'attrice australiana catapultata dall'oscurità alla fama internazionale con il suo ritratto della regina vergine in 'Elisabeth' e subito soprannominata la nuova Meryl Streep per la capacità di trasformarsi e di trasportare lo spettatore dentro la pelle dei personaggi più diversi e disparati, arriva sugli schermi nei prossimi mesi con tanti personaggi e tutti diversi. In questi giorni la vediamo come una delle protagoniste di 'Babel', il film di Alejandro Gonzalez Inarritu fatto delle storie parallele di quattro famiglie sparse tra Tokyo, Los Angeles, il confine tra Messico e California e appunto il Marocco. Negli Usa sta per uscire 'Notes on a Scandal', con la Blanchett nella parte di una professoressa di liceo che finisce per farsela con un suo studente quindicenne, e Judi Dench in quella di una collega più anziana che prima le diventa amica e poi la tradisce. "Da un punto di vista morale, forse il ruolo più difficile che ho mai affrontato", commenta l'attrice: "Ma quando fai il mio mestiere non puoi metterti a giudicare, devi sospendere il giudizio". Sotto Natale, poi, sarà la volta dell'attesissimo 'The Good German', con Steven Soderbergh alla regia: un film ambientato nella Berlino dell'immediato dopo-guerra e ispirato ai noir degli anni '40, in cui la Blanchett passa dalle braccia di Brad Pitt a quelle di George Clooney. "Un film girato in bianco e nero, molto stilizzato, con un'atmosfera che ricorda quella di Casablanca", spiega l'attrice: "Ma allo stesso tempo anche una storia moderna, con molta violenza, molte bestemmie".

A due anni dall'Oscar come non protagonista per aver rappresentato nientedimeno che Katherine Hepburn in 'The Aviator', diretta da Martin Scorsese, Cate Blanchett è una delle candidate più chiacchierate per le statuette di quest'anno. Sarebbe anzi già la favorita se non fosse che con così tante performance 'da Oscar' rischia di cancellarsi da sola. A 36 anni, l'attrice ha un fisico che non corrisponde ai canoni classici di bellezza hollywoodiana: gli occhi vagamente a mandorla, il naso a punta, la bocca un po' sproporzionata, la pelle di un biancore quasi spettrale. Ma è eterea, luminosa, nelle parole di Scorsese "una forza della natura: ogni ruolo che fa è diverso e anche assolutamente unico". O, in quelle di Barry Levinson, il regista di 'Rain Man' che l'ha diretta in uno dei suoi primi film, 'Pushing Tin', "l'attrice più significativa della sua generazione". Quando si parla di lei il termine che ricorre più spesso è comunque quello di 'camaleonte', per quella sua straordinaria capacità di penetrare dentro i personaggi che rappresenta, di far dimenticare per due ore che sotto la loro pelle c'è anche la sua.

Un'attrice, non una stella del cinema, molto severa con se stessa e che in pochi anni di carriera ha condotto i suoi fan nei viaggi fantastici più disparati. È stata un'ereditiera e giocatrice d'azzardo in 'Oscar and Lucinda', un'eterea regina con le orecchie a punta nella trilogia de 'Il Signore degli anelli', una giornalista-attivista irlandese in 'Veronica Guerin', un'altra giornalista molto incinta (senza protesi, aveva in pancia il figlio Roman, il secondo) in 'The Life Aquatic of Steve Zissou', una singolare rapinatrice di banche in 'Bandits', una donna del West forte e risoluta in 'Missing'.
Non c'è un percorso lineare nella carriera della Blanchett, non c'è un piano studiato a tavolino, solo una serie di ruoli scelti sulla base delle storie che le hanno proposto e dei registi che l'hanno cercata: a volte mega-produzioni hollywodiane; altre, film indipendenti; altre ancora di ritorno sui set della natia Australia e, perché no?, anche teatro alla Sydney Theatre Company, magari sotto la regia del marito, Andrew Upton. E non andate a chiederle come fa, qual è la sua tecnica. "La tecnica non mi interessa, la tecnica è una cosa fredda", risponde decisa: "Anche la ricerca ha i suoi limiti, perché se non vuoi manipolare quello che gli spettatori devono vedere e sentire, devi mettere da parte i libri e gli studi e i filmati. Quello che cerco è di comunicare in forma viscerale che cosa significa l'esperienza di essere umani e per farlo devi metterti nuda di fronte alla cinepresa, lasciando che la gente ti entri dentro e ti guardi".

In realtà Cate Blanchett non sa se continuerà a fare entrare dentro di sé degli sconosciuti. Ha iniziato a fare l'attrice non per vocazione, ma perché la mamma, a 12 anni, le impose di fare teatro a scuola. E quando, finito il liceo, si iscrisse alla scuola di dramma non fu perché aveva l'ambizione di fare il mestiere di attrice, ma un po' per scarto, perché dopo un anno di viaggi in giro per il mondo non sapeva bene cosa fare di se stessa. E anche adesso che continua a venire corteggiata dai più ammirati registi contemporanei e ad accumulare premi e riconoscimenti, tutto le sembra provvisorio, un momento di passaggio in attesa del giorno in cui si metterà a fare qualcosa di più tangibile e significativo. "Quando fai il falegname vedi chiaramente il risultato di quello che fai", osserva: "Ma il mio è un mestiere più effimero, più elusivo. Penso sempre che lo farò per cinque, per dieci anni e poi magari mi iscrivo ad architettura. Ci sono tante altre cose al mondo e se un giorno tutto finirà farò altro, il cambiamento non mi intimorisce. Il mondo del cinema è pieno di seduzione e senza un programma di carriera mi è più facile mantenere un certo distacco e non prendermi troppo sul serio".

In attesa di decidere che cosa farà da grande e se un giorno cambierà davvero corso alla sua vita professionale, Cate Blanchett si è fatta già sedurre da due nuovi progetti. Tornerà a essere 'Elisabeth', una decisione sofferta. "Non mi piace tornare indietro", spiega: "Ma quello è un periodo tremendamente affascinante, le storie sono inesauribili. E poi, sono passati otto anni". Quindi, in un vero guizzo da camaleonte, sarà Bob Dylan in 'I'm not there', diretta da Todd Haynes. O meglio, sarà - come Richard Gere, Heath Ledger, Christian Bale - uno dei personaggi che potrebbero essere il cantautore più influente degli ultimi 40 anni e forse no. "Non cerchiamo di rappresentare Dylan, ma di cogliere il suo spirito e la sua energia", spiega.

Parlando di Dylan, Cate Blanchett diventa una fan, una teenager in totale ammirazione. Negli ultimi mesi, confessa, suo marito è stato più geloso di lei quando la vedeva con gli occhi sgranati di fronte a qualche documentario sull'autore di 'Just like a woman', che quando la sapeva a tu per tu con Clooney e con Pitt. "Penso di capire Dylan", aggiunge. Poi si corregge: "No, non mi paragonerei mai a lui, ma quando tutti gli chiedevano di analizzare il significato della sua musica, lui rispondeva semplicemente 'non lo so, faccio quello che faccio'. Ecco, mi sento anch'io una che fa quello che fa senza pensarci troppo e continuando a sognare l'impossibile. Finché un giorno, chissà, smetterò di illudermi e riuscirò finalmente a fare qualcosa di buono: qualcosa che non mi imbarazzi quando accendo la televisione e mi capita di vedermi sullo schermo".