di Adriano Celentano
Il rock e il lento. Il Truman Show. E i grattacieli da far crescere in gruppo. La star più sorprendente della nostra televisione racconta 'Rockpolitik'. E la sua idea del mondo
Adriano Celentano
Nel volume 'Rockpolitik' a cura di Mariuccia Ciotta, che Bompiani manda in libreria il 15 novembre, Adriano Celentano racconta storia, preistoria e retroscena della trasmissione più provocatoria della scorsa stagione televisiva. Ne anticipiamo alcuni brani.

Sono convinto che lo spettacolo non deve ispirarsi alla tv e nemmeno al cinema, per me lo spettacolo è la realtà, e la voglio portare in scena, la voglio trasferire in tv. Ma la realtà è il contrario di 'Porta a Porta', con quelle luci che appiattiscono tutto, che accecano. La realtà è fatta di penombra, come, vedi, in questa stanza, dove là in fondo è più buio, dove la luce sfuma. mentre noi siamo più illuminati. Quello che si tende a perdere - ed è un'altra delle mie ossessioni - è la dimensione utopistica della vita. Io dico a volte cose che non sembrano realizzabili, ma sono tante le cose che sembravano impossibili e poi si sono fatte. La mia preoccupazione, la mia 'schiavitù', è pensare che se si perde questa visione utopistica, il mondo andrà sempre peggio. Oggi si vive di più, la vita è migliorata, ci sono medicine che guariscono, ma lo stesso il mondo va verso il crack, perché l'uomo ha abbandonato il passato per salire sempre più in alto. Ma se uno sale su una scala altissima e poi non può più scendere, non può conservare le cose belle. La mancanza del Bello è un problema. La chiave del futuro è il Bello, la giustizia, l'equità. Non ci sono solo i grattacieli, noi siamo parte della natura. Ci sono gli elicotteri ma non c'è il prato.

Truman Show? La porticina che si apre nello schermo l'avevo inventata prima, in 'Fantastico 8', nel 1987. Sopra c'era scritto 'Uscita di sicurezza' e io entravo in teatro da lì. Era la porta che si apriva sulla realtà, quella che cercavo di portare in scena. Adesso mentre le nuvole scorrono sullo schermo tra lampi e tuoni oltrepasso la soglia e subito dopo comincia a piovere per dare la sensazione che il set è un luogo ancora più reale. Così ho immaginato anche la scena con quei tre tavoli destinati agli 'epurati', una luce li illumina dall'alto, e li scopre uno alla volta. L'idea mi è venuta prima che Biagi e Luttazzi decidessero di non venire più, e all'inizio la luce avrebbe dovuto inquadrare gli ospiti, poi ho deciso di lasciarli tutti e tre vuoti, in questo modo l'effetto moltiplica l'emozione dell'assenza.

Topolino? Ho detto che Topolino è lento e Paperino rock. ma non l'ho scritto io questo, se avessi saputo che il Mickey Mouse delle origini era un anarchico, un piccolo contro i prepotenti, e che Paperino era disegnato a modello dell'americano egoista e qualunquista che non vuole pagare le tasse. non lo avrei detto.

L'idea di Rock/ Lento è stata di Diego Cugia. Un'idea accolta gelidamente dal gruppo degli autori anche se in me, invece, si era accesa una piccola luce. Il problema era come farlo. Poteva essere pericoloso, per me, sentenziare ciò che è buono e ciò che non lo è. Sentivo che nell'idea di Cugia c'era qualcosa di valido, ma mancavano le fondamenta per sostenere un palazzo che poteva anche crollarti addosso. "Mettiamola in scaletta", dissi, "e andiamo avanti col programma". Ma ogni volta che ripassavamo la scaletta qualcuno mi chiedeva: "Tu sei sempre convinto di leggere su un foglio bianco questa cosa di Rock/Lento subito all'inizio del programma?" "Per adesso, non sono convinto di toglierla", rispondevo. "Facciamo sempre in tempo a eliminarla". E così per cinque mesi nessuno più parlò di Rock/Lento e in scaletta rimase fino a due giorni prima del debutto. Mancavano infatti poco più di 48 ore all'inizio del programma e a quel punto, anche se tutti, compreso Cugia, erano ormai consapevoli che Rock/Lento non sarebbe mai nato, io dovevo decidere. Mi appartai, come faccio di solito quando devo pensare. Ma solo con la mente, poiché ero circondato dal frastuono dei preparativi, assalito da mille sguardi che aspettavano un ordine o una parola su come dovevano fare questo o quello, senza contare i più coraggiosi che non esitavano a chiedermi qualcosa ogni due minuti. Presi un megafono e gridai: "Nessuno si avvicini a me fin quando non lo dico io, perché devo pensare". Per un attimo ci fu un silenzio assordante che mi distraeva più del baccano, ma durò solo pochi secondi. Così, gironzolando fra quelli che mi schivavano, cominciai a pensare. Prima di tutto la posizione. Da quale angolazione avrei dovuto emanare questo strano editto?... Avvertivo la necessità di un'autorità che non avevo. Un'autorità capace di mischiare scherzo e verità. Dove lo scherzo sono i binari e la verità è il treno.
Chiamai l'assistente di Castelli, un cicciottello simpatico con gli occhi da giapponese, ma soprattutto abile e bravo come lo è il suo capo. Gli chiesi di costruirmi un podio antico con tre gradini e un leggio ancora più antico, con sopra un grande libro. Quando solo 12 ore dopo salii quei tre gradini, sentii che era fatta: il seme di Rock/Lento stava finalmente germogliando. Però mancava ancora qualcosa, mancava la corrente che dava energia al motore. e questa corrente era il blues. Chiamai Michael Thompson dall'America, un chitarrista mondiale che aveva già suonato negli ultimi miei cd. E così sulle note di un blues stanco e ossessivo nasceva il primo canto libero: "Quelli che tirano i sassi dal cavalcavia sono lenti. sono contro l'amicizia. e fra di loro, non sono amici.". Il treno ormai era partito e nessuno più poteva fermarlo. bisognava solo riempire i vagoni di fatti accaduti. In questo ci siamo adoperati un po' tutti. Il 70 per cento delle cose dette a Rock/Lento le ha scritte Andrea Scrosati, io ne ho scritte alcune e a ogni puntata improvvisavo le cose più scottanti come quella dei sassi lanciati dal cavalcavia e: "I gay sono rock", "I matrimoni gay sono lenti, Zapatero è lentissimo. pietrificato", poi sul papa e altro che non ricordo. Altre cose le hanno pensate in gruppo con la scarsa partecipazione di Diego Cugia il quale dimostrava chiaramente di non amare il gruppo e forse anche perché le prime cose che aveva scritto gliele avevo scartate.

I grattacieli mi piacciono, ma devono essere costruiti in 'gruppi'. Non sono mai stato a New York, ma i suoi grattacieli sono coerenti con questa città. Sì, anche questi di Rockpolitik sono belli, anche se qui vogliono mostrare l'avanzata del cemento e di una modernità che non si preoccupa di preservare la dimensione umana del passato, lo spazio pubblico, il villaggio, le piccole case dove la gente può incontrarsi e chiacchierare. Mi piacciono le costruzioni d'avanguardia, futuribili, ma devono essere coerenti con il quartiere dove vengono edificate, e non mischiarsi e distruggere le zone antiche delle città. dove vedi spuntare tra le vecchie case un palazzone di trenta piani.

Ora ti racconto una storia. Quando circa quarant'anni fa sono venuto ad abitare qui, la collina di Galbiate era spoglia, paludosa e destinata a diventare una zona di speculazione edilizia. Allora ho deciso di spendere più per gli alberi che per la casa. Il giardiniere era tutto contento e mi ha chiesto: Che alberi vuole? E io: Tutti, di ogni specie, betulle, pini, abeti. Così ha cominciato a piantarli e io gli dicevo dove metterli, un po' qua e un po' là. Alla fine, dopo ore e ore, giorni e giorni di lavoro, il giardiniere mi ha chiesto se ero soddisfatto. Mi sono guardato intorno e mmh. c'era qualcosa che non andava, non so cosa, ma non andava. E lui: Allora glielo dico io cos'è che non va, gli alberi amano stare in gruppi di simili, gli abeti con gli abeti e lei invece ha voluto mischiarli tutti. E allora gli ho detto di sradicarli, uno per uno su un grande spazio di terreno. E li ha ripiantati così in gruppo. È la stessa cosa per i grattacieli, non si possono abbattere le vecchie case per far posto ai grattacieli, non si possono mischiare.

Schwarzenegger, governatore della California, lo volevo qui per parlare della pena di morte, aveva appena negato la grazia a un condannato e io, che sono contro la pena di morte, avevo intenzione di affrontare questo argomento. All'inizio ha chiesto moltissimi soldi. Ho insistito perché ne valeva la pena. Allora ho chiesto ad Andrea Scrosati, che lo aveva contattato, di richiamarlo. E lui: Però non gli dico che vuoi parlare contro la pena di morte. E io: Sì, glielo devi dire, deve sapere che lo invito per questo. E allora Schwarzenegger ha rifiutato l'invito. Per Marcos avevamo degli intermediari, mi piaceva averlo ospite perché è uno che si batte per i più deboli, ma alla fine ha avuto qualche problema tecnico o politico. Avremmo dovuto collegarci con lui, ma non è stato possibile. Michael Moore mi piace, lo volevo per i suoi documentari politici, era quello giusto da invitare, ma stava girando da qualche parte e non sapeva mai quando sarebbe potuto venire. Poi ha chiamato alle tre di notte, poche ore prima della trasmissione. era troppo tardi.