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Regia: Christophe
Gans
Cast: Radha Mitchell, Sean Bean, Laurie Holden, Jodelle
Ferland, Debra Kara Hunger, Kim Coates
Genere: Horror
Distribuzione: Eagle Pictures
Giudizio: * * * *
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Rose
è una madre che è disposta a tutto pur di salvare la figlia
Sharon, la quale è affetta da una misteriosa forma di sonnambulismo
che la porta a violenti eccessi di delirio.
L’unica cura sembrerebbe la cittadina Silent Hill che la bimba nomina
spesso durante i suoi stati confusionali. Nonostante il marito sia contrario,
Rose decide di partire e una volta giunta sul posto, Sharon scompare misteriosamente.
Per ritrovare sua figlia, Rose dovrà affrontare le presenze malefiche
che risiedono a Silent Hill.
Se è vero che il cinema americano da sempre attinge ai romanzi
per ricavare delle storie interessanti da proporre sul grande schermo,
allo stesso modo, esercitano un certo fascino sulle case di produzione
i fumetti ed i videogiochi. Basti pensare alla miriade di super eroi che
hanno invaso le sale cinematografiche negli ultimi anni: Hulk, Spiderman,
I fantastici quattro, gli X-men, Batman, Constantine ecc…
Lungometraggi che molto spesso hanno garantito un incasso più che
soddisfacente, grazie ad un pubblico di piccoli(ma spesso anche di adulti)
che si accalcano nelle sale, impazienti di vedere i loro eroi tanto amati
che, finalmente, prendono vita dalle tavole nelle quali sono rimasti imprigionati
così a lungo.
Per quanto concerne i videogiochi, la situazione è un po’
diversa. Nei primi anni novanta la console Giapponese “Super Nintendo”
riscosse un ottimo successo grazie ad una produzione continua di videogiochi
di ottima qualità per quanto concerne l’aspetto grafico.
La Capcom, una delle maggiori case produttrici , lanciò la saga
di “Street Fighter” che conquistò i cuori di tutti
gli appassionati che amavano i videogiochi appartenenti al genere “picchiaduro”,
nei quali il giocatore indossava i panni di un combattente ed eliminava
l’avversario a colpi di Kung Fu. I produttori americani pensarono
bene di trasporre la saga videoludica sul grande schermo, utilizzando
come protagonista principale, il celebre attore di action-movie Jean-Claude-Van
Damme, che interpretava il ruolo del pilota militare Guile, presente nel
gioco medesimo.
Il risultato fu un effetto sorprendente a livello di trucco. Quasi tutti
gli attori, infatti, erano pressoché identici ai personaggi della
saga Capcom. A livello di sceneggiatura e di empatia, il film lasciò
molto a desiderare. Numerosi furono i mormorii di dissenso al termine
della proiezione. I fan di Street Fighter non trovarono diletto in quella
pellicola che mescolava la spy-story con uno humor tipico di molte serie
poliziesche come Beverly Hills Cop o Starsky e Hutch. I produttori ad
ogni modo, non si arresero e continuarono per la loro strada , investendo
ancora più denaro quando fece la sua comparsa un prodotto della
Sony denominato Playstation. I videogiochi che stavolta colpirono l’interesse
di questi signori, furono Resident Evil e Final Fantasy. Quest’ultimo,
nonostante fosse supportato da una sceneggiatura discreta e a tratti interessante,
a detta di molti appassionati , la storia non aveva alcuna attinenza con
il gioco. Sceneggiatore, regista e produttore avevano stravolto completamente
il plot narrativo, lasciando il titolo come unico elemento riconoscibile.
Una sorte meno tragica toccò a Resident Evil, l’horror game
più inquietante mai creato, che turbò le notti di molti
giocatori e non. Dietro la macchina da presa vi era un regista di indubbio
talento come Paul Anderson. La presenza dell’autore del tanto acclamato
“Magnolia” e “Punto di non ritorno”, fece ben
sperare. E in effetti, Anderson riuscì comunque ad offrire un prodotto
di qualità. Nonostante tutto, le opinioni negative di molti fan
superarono quelle favorevoli sino a trasformarsi in un vero e proprio
inno di protesta quando, due anni fa , Milla Jovovich tornò nei
panni della protagonista del primo episodio, riproponendo il suo corpo
da modella nello scadentissimo “Resident Evil Apocalypse”.
La creatività dei cineasti raggiunse il livello più basso
di decenza narrativa e visiva con “House of the dead” e “Alone
in the dark”.
Sembrava la fine. Poi un regista francese considerò questa situazione
intollerabile. Lui, che nutriva un amore sincero per i videogiochi e per
il cinema, decise che queste due forme d’arte dovevano tornare ad
incontrarsi ma in un modo sincero e pulito. Il mezzo che permise il connubio
fu un ulteriore horror-game che vide la luce nel 1999: Silent Hill. L’idea
di trarne un film cominciò a ronzargli nella testa più di
cinque anni fa ma non riuscì a trovare un accordo con la casa di
produzione giapponese, creatrice del videogioco. Poi alla fine la soluzione
fu trovata e ancora oggi nelle sale italiane è possibile assaporare
l’ultimo lavoro di quest’autore il cui nome è Cristophe
Gans. Il regista de “Il patto dei lupi” , oltre a mostrare
la sua bravura dietro la macchina da presa e un particolare gusto per
l’immagine, dimostra anche di essere un attento studioso di videogiochi
dal punto di vista tecnico. Gans, infatti, ripropone fedelmente le inquadrature
presenti nella serie videoludica , così da trasformare lo spettatore
in giocatore mentre segue la protagonista Rada Mitchell che si aggira
nella malefica Silent Hill in cerca di sua figlia. Non si può fare
a meno di apprezzare l’atmosfera(totalmente assente nel film Resident
Evil) la quale non ha nulla da invidiare al videogioco: inquietante, cupa,
tenebrosa, impastata con un finissimo gusto per il macabro; un atmosfera
che deve i suoi natali ad un bravo direttore della fotografia, il quale
assieme al regista ha studiato il videogioco nei minimi particolari, riproducendo
giochi di luce che alternano colori opachi e freddi , capaci di trasmettere
un senso di malessere, e colori accesi, forti, molto spesso volutamente
artificiosi. Questo perché Silent Hill è un luogo surreale,
pura espressione dei tormenti e delle paure dei personaggi(sia del film
che del gioco).
Dulcis in fundo, i girati esterni. Nel primo episodio , Silent Hill era
una cittadina abbandonata, perennemente avvolta nella nebbia. Poi, mano
a mano che il giocatore proseguiva lungo il suo percorso, la nebbia diveniva
tenebra. Ed è questo il particolare che probabilmente ha reso di
gran lunga superiore Silent Hill rispetto a Resident Evil. Se in quest’ultimo
infatti , il giocatore procedeva in ambienti deturpati e oppressi ma costantemente
illuminati, in Silent Hill al contrario , il player-protagonista viene
abbandonato nell’oscurità vera e propria; l’unico strumento
che possiede è una torcia o , nei peggiori casi, un banale accendino.
L’archetipo del buio, nel quale ognuno di noi teme per la propria
incolumità poiché non ha la certezza se a pochi passi si
nasconda qualche presenza, in Silent Hill veniva sfruttato in maniera
sublime. La torcia e l’accendino fornivano una sicurezza assai inconsistente
poiché il raggio di luce copriva solo una piccola porzione dell’ambiente
circostante, provocando nel giocatore un’ inquietudine superiore
rispetto ai momenti in cui si trova immerso nell’oscurità
più fitta.
Dunque ci si chiede se un tale aspetto è stato conservato nella
pellicola. La risposta è sì. Forse non suscita lo stesso
effetto ma l’angoscia diviene comunque una fedele compagna. Basta
osservare il volto teso e il corpo divenuto come pietra dello spettatore
seduto al nostro fianco. Ma soprattutto, per tornare ai girati esterni,
la cittadina utilizzata per il film è anch’essa spaventosamente
identica all’originale. Per il lungometraggio infatti, è
stata scelta una piccola località realmente abbandonata che si
trova in Canada. Oltre a questo, si aggiunge una cura a volte ossessiva,
per quanto concerne la ricostruzione di alcuni ambienti
E arredamenti. Un lavoro ineccepibile , non c’è che dire.
Un risultato del genere non è dovuto semplicemente ad una bravura
nel
Campo della costruzione dell’immagine ma anche alla costanza nel
lavoro e ad una conoscenza profonda della materia originale dalla quale
si attinge. Una conoscenza e una passione per il videogioco Silent Hill
che il regista possiede a differenza dei suoi predecessori, che hanno
semplicemente rimescolato alcuni degli elementi principali riproponendo
un qualcosa poco o per nulla attinente all’originale, dimostrando
anche una scarsa cura per il proprio lavoro. In quanto alla sceneggiatura,
bè…Qualche pecca non manca. In primis i dialoghi. Alcuni
danno l’idea di essere stati scritti tanto per riempire la pagina
e a volte sembrano provenire da qualche copione di soap opera riciclato
da un cestino.
Ed è un vero peccato dato che lo sceneggiatore è Roger Avary,
che ha curato lo script di Pulp Fiction. Un altro punto dolente è
il personaggio di Cybil Bennett, qui interpretato da Laurie Holden. Nel
videogioco la poliziotta appariva dotata di un sex-appeal di tutto rispetto,
in simbiosi con un indubbia freddezza, tipica della donna d’azione.
Nel film, quest’ultima caratteristica viene portata all’esasperazione,
tanto da far apparire la Holden più simile al personaggio della
saga umoristica “Scuola di polizia”. Probabilmente sarà
dovuto anche all’aspetto e al trucco della medesima attrice, troppo
mascolina e troppo indurita nei modi dalla divisa che indossa. Verso la
fine , nel momento in cui il demone-bambina spiega le origini dell’orrore
che ha ammorbato Silent Hill, la narrazione può apparire ingarbugliata
e un po’contorta ma se si presta attenzione, giunti alla penultima
sequenza “splatter”, si avranno le idee chiare. Anche il primo
atto potrebbe risultare lento; ma non è detto che sia necessariamente
un difetto. Al giorno d’oggi siamo abituati ad un ritmo narrativo
eccessivamente rapido che non dà il tempo allo spettatore di entrare
al meglio nella storia e nei personaggi, poiché , scopo primario
dei produttori, è quello di catturare immediatamente l’attenzione
già dal secondo minuto. Invece, assistere ad un lungometraggio
che tarda ad arrivare al primo colpo di scena, può essere considerato
un modo differente di narrare e ugualmente gradevole poichè aumenta
la tensione e la curiosità. Ed è proprio questo che avviene
mentre seguiamo Rose e Sharon che percorrono la strada buia e deserta
che le condurrà a Silent Hill.
Probabilmente ci saranno ancora dissensi da parte di alcuni fans; ma saranno
indubbiamente inferiori rispetto alle precedenti pellicole ispirate ai
videogiochi. Qui c’è dedizione, c’è impegno
e passione. Certo, forse la recitazione non è delle migliori e
nello script qualcosina poteva essere eliminata o magari aggiunta come,
ad esempio, lo scontro fra Rose e “piramid head che invece è
assente. Ad ogni modo, il lungometraggio di Gans resta comunque un prodotto
di qualità.
Stefano Stanzione
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