VetrinaCinema
a cura di Marzia Serra e Stefano Stanzione
   

 

Silent Hill

Regia: Christophe Gans
Cast: Radha Mitchell, Sean Bean, Laurie Holden, Jodelle Ferland, Debra Kara Hunger, Kim Coates
Genere: Horror
Distribuzione: Eagle Pictures
Giudizio: * * * *

Silent HillRose è una madre che è disposta a tutto pur di salvare la figlia Sharon, la quale è affetta da una misteriosa forma di sonnambulismo che la porta a violenti eccessi di delirio.
L’unica cura sembrerebbe la cittadina Silent Hill che la bimba nomina spesso durante i suoi stati confusionali. Nonostante il marito sia contrario, Rose decide di partire e una volta giunta sul posto, Sharon scompare misteriosamente. Per ritrovare sua figlia, Rose dovrà affrontare le presenze malefiche che risiedono a Silent Hill.

Se è vero che il cinema americano da sempre attinge ai romanzi per ricavare delle storie interessanti da proporre sul grande schermo, allo stesso modo, esercitano un certo fascino sulle case di produzione i fumetti ed i videogiochi. Basti pensare alla miriade di super eroi che hanno invaso le sale cinematografiche negli ultimi anni: Hulk, Spiderman, I fantastici quattro, gli X-men, Batman, Constantine ecc…
Lungometraggi che molto spesso hanno garantito un incasso più che soddisfacente, grazie ad un pubblico di piccoli(ma spesso anche di adulti) che si accalcano nelle sale, impazienti di vedere i loro eroi tanto amati che, finalmente, prendono vita dalle tavole nelle quali sono rimasti imprigionati così a lungo.
Per quanto concerne i videogiochi, la situazione è un po’ diversa. Nei primi anni novanta la console Giapponese “Super Nintendo” riscosse un ottimo successo grazie ad una produzione continua di videogiochi di ottima qualità per quanto concerne l’aspetto grafico. La Capcom, una delle maggiori case produttrici , lanciò la saga di “Street Fighter” che conquistò i cuori di tutti gli appassionati che amavano i videogiochi appartenenti al genere “picchiaduro”, nei quali il giocatore indossava i panni di un combattente ed eliminava l’avversario a colpi di Kung Fu. I produttori americani pensarono bene di trasporre la saga videoludica sul grande schermo, utilizzando come protagonista principale, il celebre attore di action-movie Jean-Claude-Van Damme, che interpretava il ruolo del pilota militare Guile, presente nel gioco medesimo.
Il risultato fu un effetto sorprendente a livello di trucco. Quasi tutti gli attori, infatti, erano pressoché identici ai personaggi della saga Capcom. A livello di sceneggiatura e di empatia, il film lasciò molto a desiderare. Numerosi furono i mormorii di dissenso al termine della proiezione. I fan di Street Fighter non trovarono diletto in quella pellicola che mescolava la spy-story con uno humor tipico di molte serie poliziesche come Beverly Hills Cop o Starsky e Hutch. I produttori ad ogni modo, non si arresero e continuarono per la loro strada , investendo ancora più denaro quando fece la sua comparsa un prodotto della Sony denominato Playstation. I videogiochi che stavolta colpirono l’interesse di questi signori, furono Resident Evil e Final Fantasy. Quest’ultimo, nonostante fosse supportato da una sceneggiatura discreta e a tratti interessante, a detta di molti appassionati , la storia non aveva alcuna attinenza con il gioco. Sceneggiatore, regista e produttore avevano stravolto completamente il plot narrativo, lasciando il titolo come unico elemento riconoscibile. Una sorte meno tragica toccò a Resident Evil, l’horror game più inquietante mai creato, che turbò le notti di molti giocatori e non. Dietro la macchina da presa vi era un regista di indubbio talento come Paul Anderson. La presenza dell’autore del tanto acclamato “Magnolia” e “Punto di non ritorno”, fece ben sperare. E in effetti, Anderson riuscì comunque ad offrire un prodotto di qualità. Nonostante tutto, le opinioni negative di molti fan superarono quelle favorevoli sino a trasformarsi in un vero e proprio inno di protesta quando, due anni fa , Milla Jovovich tornò nei panni della protagonista del primo episodio, riproponendo il suo corpo da modella nello scadentissimo “Resident Evil Apocalypse”. La creatività dei cineasti raggiunse il livello più basso di decenza narrativa e visiva con “House of the dead” e “Alone in the dark”.
Sembrava la fine. Poi un regista francese considerò questa situazione intollerabile. Lui, che nutriva un amore sincero per i videogiochi e per il cinema, decise che queste due forme d’arte dovevano tornare ad incontrarsi ma in un modo sincero e pulito. Il mezzo che permise il connubio fu un ulteriore horror-game che vide la luce nel 1999: Silent Hill. L’idea di trarne un film cominciò a ronzargli nella testa più di cinque anni fa ma non riuscì a trovare un accordo con la casa di produzione giapponese, creatrice del videogioco. Poi alla fine la soluzione fu trovata e ancora oggi nelle sale italiane è possibile assaporare l’ultimo lavoro di quest’autore il cui nome è Cristophe Gans. Il regista de “Il patto dei lupi” , oltre a mostrare la sua bravura dietro la macchina da presa e un particolare gusto per l’immagine, dimostra anche di essere un attento studioso di videogiochi dal punto di vista tecnico. Gans, infatti, ripropone fedelmente le inquadrature presenti nella serie videoludica , così da trasformare lo spettatore in giocatore mentre segue la protagonista Rada Mitchell che si aggira nella malefica Silent Hill in cerca di sua figlia. Non si può fare a meno di apprezzare l’atmosfera(totalmente assente nel film Resident Evil) la quale non ha nulla da invidiare al videogioco: inquietante, cupa, tenebrosa, impastata con un finissimo gusto per il macabro; un atmosfera che deve i suoi natali ad un bravo direttore della fotografia, il quale assieme al regista ha studiato il videogioco nei minimi particolari, riproducendo giochi di luce che alternano colori opachi e freddi , capaci di trasmettere un senso di malessere, e colori accesi, forti, molto spesso volutamente artificiosi. Questo perché Silent Hill è un luogo surreale, pura espressione dei tormenti e delle paure dei personaggi(sia del film che del gioco).
Dulcis in fundo, i girati esterni. Nel primo episodio , Silent Hill era una cittadina abbandonata, perennemente avvolta nella nebbia. Poi, mano a mano che il giocatore proseguiva lungo il suo percorso, la nebbia diveniva tenebra. Ed è questo il particolare che probabilmente ha reso di gran lunga superiore Silent Hill rispetto a Resident Evil. Se in quest’ultimo infatti , il giocatore procedeva in ambienti deturpati e oppressi ma costantemente illuminati, in Silent Hill al contrario , il player-protagonista viene abbandonato nell’oscurità vera e propria; l’unico strumento che possiede è una torcia o , nei peggiori casi, un banale accendino.
L’archetipo del buio, nel quale ognuno di noi teme per la propria incolumità poiché non ha la certezza se a pochi passi si nasconda qualche presenza, in Silent Hill veniva sfruttato in maniera sublime. La torcia e l’accendino fornivano una sicurezza assai inconsistente poiché il raggio di luce copriva solo una piccola porzione dell’ambiente circostante, provocando nel giocatore un’ inquietudine superiore rispetto ai momenti in cui si trova immerso nell’oscurità più fitta.
Dunque ci si chiede se un tale aspetto è stato conservato nella pellicola. La risposta è sì. Forse non suscita lo stesso effetto ma l’angoscia diviene comunque una fedele compagna. Basta osservare il volto teso e il corpo divenuto come pietra dello spettatore seduto al nostro fianco. Ma soprattutto, per tornare ai girati esterni, la cittadina utilizzata per il film è anch’essa spaventosamente identica all’originale. Per il lungometraggio infatti, è stata scelta una piccola località realmente abbandonata che si trova in Canada. Oltre a questo, si aggiunge una cura a volte ossessiva, per quanto concerne la ricostruzione di alcuni ambienti
E arredamenti. Un lavoro ineccepibile , non c’è che dire. Un risultato del genere non è dovuto semplicemente ad una bravura nel
Campo della costruzione dell’immagine ma anche alla costanza nel lavoro e ad una conoscenza profonda della materia originale dalla quale si attinge. Una conoscenza e una passione per il videogioco Silent Hill che il regista possiede a differenza dei suoi predecessori, che hanno semplicemente rimescolato alcuni degli elementi principali riproponendo un qualcosa poco o per nulla attinente all’originale, dimostrando anche una scarsa cura per il proprio lavoro. In quanto alla sceneggiatura, bè…Qualche pecca non manca. In primis i dialoghi. Alcuni danno l’idea di essere stati scritti tanto per riempire la pagina e a volte sembrano provenire da qualche copione di soap opera riciclato da un cestino.
Ed è un vero peccato dato che lo sceneggiatore è Roger Avary, che ha curato lo script di Pulp Fiction. Un altro punto dolente è il personaggio di Cybil Bennett, qui interpretato da Laurie Holden. Nel videogioco la poliziotta appariva dotata di un sex-appeal di tutto rispetto, in simbiosi con un indubbia freddezza, tipica della donna d’azione. Nel film, quest’ultima caratteristica viene portata all’esasperazione, tanto da far apparire la Holden più simile al personaggio della saga umoristica “Scuola di polizia”. Probabilmente sarà dovuto anche all’aspetto e al trucco della medesima attrice, troppo mascolina e troppo indurita nei modi dalla divisa che indossa. Verso la fine , nel momento in cui il demone-bambina spiega le origini dell’orrore che ha ammorbato Silent Hill, la narrazione può apparire ingarbugliata e un po’contorta ma se si presta attenzione, giunti alla penultima sequenza “splatter”, si avranno le idee chiare. Anche il primo atto potrebbe risultare lento; ma non è detto che sia necessariamente un difetto. Al giorno d’oggi siamo abituati ad un ritmo narrativo eccessivamente rapido che non dà il tempo allo spettatore di entrare al meglio nella storia e nei personaggi, poiché , scopo primario dei produttori, è quello di catturare immediatamente l’attenzione già dal secondo minuto. Invece, assistere ad un lungometraggio che tarda ad arrivare al primo colpo di scena, può essere considerato un modo differente di narrare e ugualmente gradevole poichè aumenta la tensione e la curiosità. Ed è proprio questo che avviene mentre seguiamo Rose e Sharon che percorrono la strada buia e deserta che le condurrà a Silent Hill.
Probabilmente ci saranno ancora dissensi da parte di alcuni fans; ma saranno indubbiamente inferiori rispetto alle precedenti pellicole ispirate ai videogiochi. Qui c’è dedizione, c’è impegno e passione. Certo, forse la recitazione non è delle migliori e nello script qualcosina poteva essere eliminata o magari aggiunta come, ad esempio, lo scontro fra Rose e “piramid head che invece è assente. Ad ogni modo, il lungometraggio di Gans resta comunque un prodotto di qualità.

Stefano Stanzione

 


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