VetrinaCinema
a cura di Marzia Serra e Stefano Stanzione
   

 

Diario di uno scandalo

Regia: Richard Eyre
Cast: Cate Blanchette, Judi Dench, Bill Nighy, Tom Georgeson, Michael Malooney, Emma Kennedy
Genere: Drammatico
Distribuzione: 20th Century Fox
Giudizio: * * * *

Sheba è la nuova insegnante di materie artistiche della scuola St.George. Durante l’anno scolastico, Sheba stringe un rapporto intimo con un suo studente, che ben presto sfocia in una relazione passionale , colma di incontri fugaci. Barbara, un’ insegnante molto più anziana, che diviene la confidente di Sheba , comincia a nutrire nei confronti della giovane collega un sentimento che va ben oltre la semplice amicizia.

diario di uno scandaloIn un periodo come questo, in cui la scuola è divenuta oggetto di attenzione da parte dei media a causa dei numerosi episodi che hanno visto protagonisti alunni violenti e professoresse fin troppo disinibite, un film come “diario di uno scandalo”, non poteva che suscitare un vivo interesse nell’opinione pubblica. La vicenda prende vita attraverso le pagine di diario scritte da Barbara, anziana professoressa della scuola inglese St. George, severa e cinica, avvolta da un alone di mistero che la rendono una sorta di “dark lady” fuggita, da un film “noir” degli anni ’40 , complice di un mondo borghese, dominato dal perbenismo e dall’ipocrisia. Barbara incarna l’icona ormai lontana di insegnante in grado di turbare i sogni degli allievi a causa della sua freddezza e del suo eccessivo autoritarismo. Ma dietro questa “roccia di crudeltà”, si nasconde una donna fragile e sola; e questa stessa fragilità emerge nel momento in cui nella scuola fa la sua comparsa Sheba, la giovane e attraente insegnante d’arte. Attraverso di essa, lo sceneggiatore Patrick Marber, ha la possibilità di mostrare quella che in narrativa viene definita”seconda dimensione del personaggio”.

Ma come ogni persona sola, Barbara è inevitabilmente vittima di una psiche instabile, la cui mancanza affettiva la porta ad abbracciare una forma ossessiva, che la spinge verso un unico scopo: avere Sheba a qualunque costo, al punto di distruggere la famiglia di lei, le sue amicizie e lo stesso studente con il quale la giovane stringe una relazione, pur di renderla “sua amata prigioniera” Così da divenire il suo unico punto di riferimento. Sheba, dal canto suo, non può che soccombere di fronte alla sua anziana collega, una volta intuita la vera natura dell’affetto di Barbara nei suoi confronti, che si cela dietro una innocente amicizia. Ciò che rende interessanti questi due personaggi femminili è proprio la contraddizione che le anima; infatti , nonostante siano consapevoli che nel mondo in cui vivono dominano regole connesse all’etica e alla professionalità, entrambe non possono fare a meno di infrangerle, dimostrando, ancora una volta, come la razionalità perde colpi una volta entrata in competizione con i sentimenti.

Se da un lato il lungometraggio sembra ricalcare il parallelismo con il celebre “Attrazione fatale”, da un lato svela l’intento dell’autore. In effetti, non sarebbe errato ipotizzare che Marber , riesumando il cliché della bella insegnante che amoreggia con l’allievo minorenne, stimolando così l’immaginario collettivo di milioni di adolescenti che si cullano nella loro tempesta ormonale, voglia lasciarsi andare ad una critica ironica quanto cruda: la scuola, che una volta era il luogo deputato all’’istruzione e alla disciplina, nonché all’insegnamento di quei valori di amicizia e rispetto reciproco, oggi più che mai è uno dei tanti palcoscenici dove intrecci amorosi, ripicche , inganni e violenza, danzano come tante marionette , i cui fili vengono mossi da un “burattinaio” chiamato nichilismo. Ciò è maggiormente accentuato proprio in quelle scuole(come la St.George) che si reputano portatrici dei valori di cui sopra, valori che in realtà, divengono un sipario dietro cui si nasconde la più squallida ipocrisia.

La regia non ha nulla di particolare: è a servizio del racconto come è giusto che sia. Ogni scena è dominata da un’illuminazione che, ancora una volta, ricorda pellicole come”21 grammi” : una luce che tende ad annullare i colori , privilegiando, a volte, una sorta di patinatura grigiastra di cui il fotogramma sembra esserne imbevuto, per poi sprofondare in sequenze dove i giochi di ombre si impongono con violenza. Basti pensare alle scene in cui Barbara è intenta a riempire le pagine del suo diario, momento in cui una malizia luciferina sembra impossessarsi dei suoi occhi piccoli e neri,

mentre la sua voce off risuona nella sala.

Grande merito va riconosciuto alle due interpreti Judi Dench e Cate Blanchette, la quale risulta perfetta nel ruolo della giovane insegnante apparentemente inibita ma in grado di mostrare una forte passionalità che arriva a schiacciarla in un primo istante ma che alla fine riesce a dominare. E nonostante l’epilogo la vede gettarsi in una furiosa lite con Barbara, durante la quale manifesta il suo sdegno nei confronti di quella donna possessiva, Sheba sembra aver acquistato una maggiore sicurezza interiore , proprio grazie alla sua “carnefice”. E forse la vera allieva, in tutta la vicenda, è Sheba medesima: la “discepola” fragile e in perenne conflitto con se stessa che ha imparato a gestire le sue scelte grazie all’insegnante arcigna che ha sempre odiato ma che da oggi in poi, quando tornerà ad affrontare le difficoltà della vita e saprà farvi fronte, scoprirà di quanto le sia debitrice.

Stefano Stanzione

 


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