di Alessandro Gilioli
Dopo dieci anni di guerriglia, il leader dei ribelli è trionfalmente entrato a Kathmandu. E, finita la clandestinità, spiega a 'L'espresso' ideali e obiettivi per un 'comunismo del XXI secolo'. Colloquio con Prachanda
Il suo nome di battaglia, quello con cui è conosciuto in tutto il mondo, è Prachanda, cioè 'il fiero'. Leader e capo della guerriglia maoista che in dieci anni ha conquistato tre quarti del Nepal, da poche settimane è entrato trionfalmente a Kathmandu, la capitale. Lo ha fatto pacificamente, grazie alle trattative a cui il re, Gyanendra, è stato costretto dai partiti democratici dopo l'insurrezione popolare di aprile. Fino a poco tempo fa quest'uomo era un mistero assoluto: di lui circolava una sola foto (giovanile, in bianco e nero). Nessuno sapeva dove stesse e molti ipotizzavano perfino che non esistesse affatto. Invece Pushpa Kamal Dahal (questo il suo vero nome), 55 anni, esiste eccome. E, con questa intervista esclusiva a 'L'espresso', racconta se stesso e la sua lunga marcia verso Kathmandu, dove conduce le trattative per ottenere l'elezione di un'assemblea costituente, l'abdicazione del re e la creazione di una Repubblica.

Prachanda, ora che siete nella capitale la città è tappezzata di vostri manifesti, i vostri uomini mantengono l'ordine pubblico, dirigono il traffico e organizzano perfino la pulizia delle strade. Avete vinto?
"Non del tutto, ma quasi. Abbiamo fatto un grande lavoro per liberare le masse nepalesi e ora siamo la forza principale del Paese. Diciamo che il 60 per cento è fatto e che il restante 40 per cento avverrà con l'elezione della Costituente".

In quanto tempo?
"Nel giro di un anno al massimo. Nei prossimi mesi ci saranno grandi cambiamenti politici e sociali in questo Paese. Abbiamo proposto a tutti i partiti democratici - anche a quelli non di sinistra - di abolire la monarchia e instaurare la repubblica. Vogliamo arrivare a un'unità di tutti i democratici contro l'autocrazia del re".

Con un referendum o attraverso l'elezione dell'assemblea Costituente?
"In questo momento la strada più percorribile sembra essere la Costituente. A noi, intendiamoci, il referendum andrebbe benissimo, ma alcuni partiti - come quello del Congresso - sono divisi al loro interno su questa ipotesi. Quindi è più probabile che ci si arrivi con una Costituente democraticamente eletta".

Che fine farà il re, che finora avete combattuto con le armi?
"Il suo destino dipende solo da lui. Se accetta di non avere più alcun ruolo politico, può tranquillamente restare in Nepal, magari dedicandosi al business. Gli assegneremo anche delle proprietà, delle terre, purché se ne stia buono. Se invece cerca di sabotare la democrazia, allora dovremo prendere dei provvedimenti".

Quali sono le prime leggi che farete se e quando arriverete al governo?
"Prima di tutto bisogna radicalmente democratizzare la forma del Paese in senso federalista. Nel contempo ci sarà una grande riforma agraria per eliminare i grandi latifondi e redistribuire la terra ai poveri. Quest'ultima sarà ovviamente una delle primissime questioni che porremo agli altri partiti democratici".

Per garantire la regolarità delle elezioni arriveranno decine di osservatori internazionali. Che percentuale pensate di prendere voi maoisti?
"Crediamo che la maggioranza dei nepalesi voterà per noi".

Più del 50 per cento?
"Sì. Nelle aree rurali e di montagna dovremmo superare l'80 per cento, mentre le zone urbane sono più mescolate. Quindi il nostro sforzo ora sarà far campagna nelle città e nelle pianure del Terai, al sud".

Se prendete più della metà dei voti farete un governo da soli?
"No, cercheremo di coalizzare le forze democratiche in un governo di unità nazionale. Il Paese ne ha bisogno, dopo tante divisioni. Però, se saremo il primo partito, chiederemo la presidenza della Repubblica".

Per lei? Da capo guerrigliero a presidente?
"Sarà il partito a decidere, ma io non sono interessato alla poltrona. Preferisco restare fuori dalle cariche istituzionali per lavorare meglio ai cambiamenti sociali ed economici di cui il Paese ha bisogno".

Molti all'estero si chiedono se voi maoisti siete veramente diventati un partito democratico e pluralista...
"Lo so, alcuni pensano che la nostra sia solo una svolta tattica. Invece il partito ha vissuto una lunga e intensa discussione sul multipartitismo e ha deciso che non ci può essere socialismo senza pluralismo. Ma attenzione: il parlamento deve rappresentare veramente le masse del Paese: in posti come il Nepal, ad esempio, rischia di rappresentare solo le aree urbane e la borghesia colta. Per noi è importante invece che il parlamento sia uno specchio autentico delle masse popolari".

C'è qualche politico straniero - tipo Lula o Chávez - a cui vi sentite simili?
"Questi leader sono certo più vicini a noi rispetto ad altri politici totalmente filocapitalisti. Ma in senso ideologico non mi sento uguale a loro, che esprimono la classe media. Noi invece rappresentiamo le masse proletarie, quindi ci sono notevoli differenze ideologiche".

Siete più simili a Fidel Castro?
"No, non tanto. Durante la guerriglia ci siamo a volte ispirati a Che Guevara, ma ora vogliamo percorrere la nostra strada. Stiamo cercando di sviluppare cose nuove, di applicare il marxismo alle necessità del XXI secolo. è un processo lungo, che coinvolge tutti i progressisti del mondo, dai maoisti come noi fino ai no global occidentali, che guardiamo con grande interesse anche se siamo ideologicamente diversi".

Perché vi definite maoisti, ora che anche la Cina è diventata capitalista?
"è una storia complessa, che parte da Lenin e passa attraverso la Lunga marcia. Comunque ci definiamo maoisti perché pensiamo che Mao abbia elaborato una filosofia e un'ideologia molto valide per le masse popolari, e che parecchi suoi insegnamenti siano utili a tutt'oggi, anche se la Cina è diventata capitalista. In passato abbiamo pensato a cambiare nome, ma non ne abbiamo mai trovato uno che piacesse a tutti e ora non è più una questione urgente. Per adesso non lo cambiamo, in futuro forse sì".

Qualcuno dice che siete come i Khmer rossi di Pol Pot in Cambogia.
"No, chi lo dice è totalmente in errore. Forse i Khmer rossi avevano, all'inizio, buone intenzioni nella liberazione della masse, ma le politiche di Pol Pot e i mezzi che ha usato sono del tutto sbagliati, tanto che ha finito per opprimere le stesse masse popolari che doveva liberare. Noi non siamo dogmatici, non siamo settari, non siamo totalitari. Cerchiamo al contrario di essere sempre più dinamici, adattandoci ai cambiamenti, compresi quelli tecnologici. Sono i nostri avversari a essere aggrappati al dogma del capitalismo, e in modo molto più settario di noi. Il nostro esperimento sarà completamente nuovo e importante per tutto il movimento socialista e comunista internazionale".

Che effetto può avere - in Asia e nel mondo - quello che sta accadendo qui?
"La nostra lotta non è solo per le masse nepalesi ma per gli oppressi di tutto il mondo. Noi siamo un paese piccolo, ma la nostra rivoluzione può avere un grande impatto per le masse sfruttate di tutto il pianeta, specie in questa era di globalizzazione".

Pensa che quando sarete al potere gli Usa cercheranno di rovesciare il nuovo governo oppure lo accetteranno?
"Questo è un problema molto serio e molto sentito. Gli americani finora hanno cercato di sabotare in ogni modo il processo di pace in Nepal e hanno appoggiato il re-dittatore. L'ambasciatore Usa, James Moriarty, non fa che dire a tutti che i maoisti sono cattivi e non bisogna fidarsi di noi. Sì, la Cia potrebbe cospirare contro la Repubblica, sfruttando i legami con alcuni alti gradi dell'esercito. Ma staremo all'erta contro questa eventualità".

Che cosa faranno ora i guerriglieri maoisti, le migliaia di ragazzi che l'hanno seguita per questi dieci anni?
"Prima dobbiamo risolvere la questione delle armi. In questi giorni stiamo trattando per un disarmo bilaterale (maoisti ed esercito regolare, ndr) e cerchiamo un accordo su chi terrà le chiavi dei depositi dove le armi saranno custodite. Penso che un ruolo importante potranno averlo le Nazioni Unite, per vigilare con le loro videocamere sui depositi. Quanto ai guerriglieri, potrebbero essere inseriti nella società civile con vari compiti di polizia".

Come si immagina il Nepal tra dieci o 15 anni?
"Il nostro Paese e la nostra gente hanno bisogno soprattutto di prosperità. Adesso siamo un paese molto povero e non perché ci manchino le risorse o le capacità, ma per colpa di chi ci ha governato finora. Il Nepal, con le sue montagne, ha per esempio un grande potenziale in termini idroelettrici. Il turismo può diventare un altra importante fonte di benessere. Il Terai è una terra fertilissima. Insomma ci sono notevoli opportunità. Ma abbiamo bisogno di sviluppo, di trasporti, di ricerca scientifica e tecnologica. Tra dieci anni, con un buon governo, potremmo essere uno dei paesi più ricchi del Sud-est asiatico".

Sempre che gli investitori stranieri si fidino di un governo a leadership comunista...
"A loro dico: il Nepal avrà un'economia mista, anche se non seguirà ciecamente il liberalismo occidentale. I capitali internazionali, se investiti nell'interesse del popolo nepalese, saranno benvenuti".

Prachanda, lei è stato per anni un mistero. Ma chi è, veramente?
"Sono nato in una famiglia di classe medio-bassa nel distretto di Kaski, vicino a Pokhara. Poi - quando ero ragazzo - i miei si sono trasferiti a Chitwan, nel Terai. Era un'area di nuovo sviluppo, poco tradizionale, con gente proveniente da tanti posti diversi del Nepal e questa esperienza è stata importante nella mia formazione. All'università, a Kathmandu, ho studiato Scienze agricole. Ero un insegnante delle scuole superiori e stavo facendo un master in Pubblica amministrazione quando sono entrato nel movimento e la politica è diventato il mio lavoro. Ho abitato a Kathmandu dieci anni, prima che iniziasse la rivoluzione, poi sono andato in montagna con i miei compagni, a guidare l'esercito popolare".

Com'è diventato comunista?
"Prima di tutto la mia non era certo una famiglia benestante: la vita era molto difficile, i miei genitori dovevano lavorare duramente per mandare avanti la famiglia. Ho iniziato a farmi domande sull'ingiustizia sociale, sul perché c'erano i ricchi e c'era gente che invece non aveva soldi per mangiare, vestirsi e studiare. Poi al liceo, negli anni Sessanta, si parlava molto di marxismo e comunismo. Uno dei miei insegnanti, una persona eccezionale, membro del partito comunista, mi ha regalato il Libretto rosso di Mao Zedong, oltre a un grande poster del presidente cinese. In seguito ho letto molti altri libri e così sono diventato comunista".

Come viveva durante la clandestinità?
"Beh, cambiavo letto quasi ogni notte, spesso riparandomi oltre frontiera, in India. Era una vita difficile, naturalmente, e non sono mancati gli incidenti".

Lei è religioso? Induista?
"No, non credo in nessuna religione. Ma nel nostro partito ci sono militanti e leader di fede induista, buddhista e altro. Rispettiamo i sentimenti religiosi delle masse, anche se ai nostri quadri insegniamo un'impostazione laica e scientifica della vita".

Libri, giornali, film, musica: che gusti culturali ha il capo dei maoisti?
"Leggo soprattutto letteratura indiana e americana, e ovviamente i giornali politici di tutto il mondo. Però ricordo che quando facevo l'insegnante mi piaceva andare a ballare con gli amici. Da studente invece andavo spesso al cinema: film mitologici indiani, ma anche pellicole americane".

Tipo?
"Beh, naturalmente mi piaceva molto 'Spartacus', quello di Stanley Kubrick con Kirk Douglas protagonista. E l'ho visto diverse volte...".