Il Don Carlo sostituito in extremis. Intervista a Giuseppe Filianoti

MILANO
Lo scriva: sto benissimo. La Scala vuole che dica che sono malato. Ma non è vero. Sto be-nis-si-mo. E, fosse per me, canterei».

Alt. Un passo indietro. Ore 19.22: dalla mail spunta un comunicato della Scala, laconico come in tutte le grandi occasioni. Due-righe-due: «La Direzione comunica che nella serata del 7 dicembre il ruolo di Don Carlo sarà interpretato dal tenore Stuart Neill». Nessuna spiegazione. In realtà ce ne vorrebbero perché sulle locandine è scritto che Don Carlo è Giuseppe Filianoti. Neill è il tenore della seconda compagnia, debutto previsto il 10. Alle 20.05 suona il telefono. Dall’altra parte c’è proprio Filianoti che se fossimo educati potremmo definire alquanto irritato ma, visto che siamo realisti, è proprio molto incazzato. E, detto che lui si sente benissimo, almeno fisicamente, sbotta, anzi deflagra, meglio: esplode: «Mi hanno fatto fuori».

Perché?
«Per preservarmi, dicono. C’è aria di fischi e allora, testuale, se devono fischiare, meglio che fischino Neill».

Una misura precauzionale per lei.
«Mi vogliono tanto bene, vero? Ma io ho un contratto e voglio cantare!»

Chi gliel’ha detto, quando e come?
«Chi? Nessuno. È stato tutto un palleggio di responsabilità, di gente che riferisce quel che le ha detto altra gente. Alla fine, ho chiesto di Lissner. Naturalmente, non c’era. Con Gatti non voglio parlare. Quanto al “quando”, me l’hanno detto mezz’ora fa. E non a me, ma al mio agente. E allora io mi sono precipitato alla Scala».

L’anteprima per i giovani non è andata benissimo...
«Ma quale anteprima! Basta con le furbate. Chiamiamola con il suo nome: prova generale, perché di una prova si trattava. Del resto, se non fosse stata una prova, saremmo tutti stati pagati. E invece nessuno ha visto una lira».

Però lei sembrava in difficoltà...
«Senta, io ho fatto un mese di prove e nove assiemi: nove! Sempre cantando in voce con i complimenti di tutti. Se a una prova, ripeto una prova, decido di non cantare in voce è una mia scelta legittima. E non sono stato il solo».

Insomma, sbaglia la Scala.
«Hanno paura dei fischi. Ma io sono un artista, in carriera da dieci anni, non possono gettarmi nel cestino così. Io canto con passione, l’arte non è business. È una vergogna che cose del genere succedano in quello che era il primo teatro del mondo. Anche perché chi decide deve dirmelo in faccia».

Appunto: ma chi ha deciso?
«E che ne so? Lissner o Gatti. È stato un grave errore far entrare i giornalisti alla generale. Magari qualcuno ha parlato con Gatti».

Che giudizio dà dello spettacolo?
«Cantare con Gatti è difficile. È sempre troppo lento o troppo veloce. In realtà, è un indeciso: prima ha rimesso la scena dello scambio dei veli, poi l’ha tolta. Tutto così: non sa quel che vuole. Ma un castello di carte prima o poi crolla».

E con il regista, Stéphane Braunschweig, come si è trovato?
«Ah, lui è un tesoro, intelligente, riflessivo. Più maturo e meno bambino di Gatti».

Domani cosa farà?
«Domani? Andrò in teatro, ovviamente. Ho un contratto».

Insomma, come Alagna dopo la famosa fuga dall’Aida.
«Ah, no! Intanto perché io non sono scappato, ma mi hanno cacciato. E poi perché almeno a lui è stata data l’occasione. A me, no».

Il rimpianto peggiore?
«Aver cantato per il teatro nel “Concerto per la città” durante la vertenza sindacale. E poi mi hanno trattato così...»

Lei sa che dopo questa intervista non canterà più alla Scala.
«Finché ci sarà questa gestione. Ma io dico che cambierà». Fonte