Roma
È al realismo che l’Avvocatura dello Stato invita i giudici costituzionali, che il 6 ottobre dovranno decidere sulla legittimità costituzionale del Lodo Alfano.

 E nella memoria presentata in difesa di Palazzo Chigi evoca il rischio di «dimissioni» di Silvio Berlusconi e di danni alle istituzioni fino all’ingovernabilità del Paese.

Se la Consulta boccerà lo «scudo» che sospende i processi per le quattro massime cariche dello Stato, sostiene, si potrebbe ripetere la storia che vide Giovanni Leone lasciare il Quirinale per polemiche scoppiate sullo scandalo Lockheed, poi rivelatesi infondate.
«Ci sarebbero - scrive l’avvocato dello Stato Glauco Nori - danni a funzioni elettive, che non potrebbero essere esercitate con l’impegno dovuto, quando non si arrivi addirittura alle dimissioni. In ogni caso con danni in gran parte irreparabili».

La tesi sostenuta nel documento di 21 pagine (che si unisce alle memorie presentate dai legali del Cavaliere e da quelli della Procura di Milano, autrice di uno dei tre ricorsi all’Alta Corte), è che il giudizio dovrà tener conto non solo di «ipotesi astratte», ma della «reale situazione attuale», fatta di «inefficienze e anomalie» nel mondo della giustizia e dei mass media. «Talvolta - si legge nella memoria - la sola minaccia di un procedimento penale può costringere alle dimissioni prima che intervenga una sentenza e anche quando i sospetti diffusi presso la pubblica opinione si sono dimostrati infondati».

Gli effetti della caduta dello «scudo» si avrebbero non in un’Italia ideale, ma in quella reale in cui i processi durano anni e anni («rari quelli che si concludono nel tempo di una legislatura e ancor più di un mandato di un presidente del Consiglio»); c’è una frequente fuga di notizie coperte dal segreto «prima che abbiano avuto la loro verifica processuale»; e i media operano con uno «stile» particolare trattandosi di processi soprattutto dal peso politico.

In questo quadro, far ripartire i giudizi contro Berlusconi comporterebbe un’«eccessiva esposizione» del procedimento sui media che, unito alla lentezza della giustizia, causerebbe gravi danni all’immagine pubblica del premier. Così, anche «senza intenti persecutori e senza responsabilità dei magistrati», ma solo per la «disfunzione del sistema per un certo modo in cui oggi operano i media» la bocciatura del Lodo esporrebbe il premier «al rischio di subire per tutta la durata della carica i danni conseguenti». E, se anche non si arriva al «pericolo estremo» delle dimissioni, «si può creare una forte corrente di opinione contraria, che rende quantomeno precarie le condizioni personali di serenità» che, secondo la Carta, devono essere assicurate al capo del governo nell’interesse di tutti. Per l’Avvocatura dello Stato la legge è, dunque, «non solo legittima, ma addirittura dovuta», anche per sottrarre il premier «a ogni condizionamento, che possa pregiudicare la stessa continuità dell’esercizio». Il Lodo difende due interessi: la personale difesa del premier e il generale interesse all’esercizio efficiente delle sue funzioni pubbliche. «Funzioni che, in quanto elettive, trovano una tutela diffusa nella Costituzione».

La prima obiezione viene da Donatella Ferranti del Pd: «La legittimità del Lodo Alfano non può essere guardata solo con la lente dell’opportunità politica e della contingenza, altrimenti si avalla la teoria delle leggi ad personam». E poi, «la vera anomalia è quella di un premier che si sottrae a un processo per reati attribuitigli quando era un cittadino comune». A sentir parlare di rischio dimissioni nel Pdl già si immaginano le contromisure. Per Giuseppe Consolo, una nuova legge «potrebbe neutralizzare gli effetti di un’eventuale dichiarazione di incostituzionalità del Lodo».

Fonte