Già lacerati dopo il flop di Bersani, i democratici non trovano di meglio che litigare furiosamente (pure su Twitter): cedere a un accordo con il Pdl? Andare al voto subito? Puntare a un esterno e riprovarci con pezzi del M5S?

Matteo Renzi

C'è chi lo accusa di intelligenza col nemico ("ha le stesse posizioni di Berlusconi"). Chi gli dà dello "sconsiderato". Chi avverte che una "spaccatura" è dietro l'angolo. Chi fa aleggiare la parola magica: scissione (di chi, però, non è chiaro in verità).

Complessivamente, tra i democratici tira un'ariaccia, un nervosismo che impazza pure sui social network. La causa, Matteo Renzi: dopo i segnali dei giorni scorsi, il sindaco di Firenze ha infatti rotto definitivamente il silenzio da "congelamento" e sferrato l'attacco (finale?) nel momento di maggior debolezza del Pd di Bersani, dicendo non solo che si sta perdendo troppo tempo, ma che l'alternativa è secca: "O intesa con Berlusconi o voto". E l'effetto, nel Pd, è simile a un pugno di quelli che provocano un'emorragia interna. La botta insomma è più forte di quel che non si veda nell'immediato. In pochi difendono il Bersani, gran parte dei fedelissimi si rende irreperibile per ore – segno di difficoltà a difendere la linea del segretario, o forse di pensosi riposizionamenti in corso – e solo alcuni non-parlamentari su twitter danno corpo all'irritazione. Mentre il segretario Pd – dopo un lungo pranzo con Enrico Letta – si limita a dare una risposta esistenziale: "Sono qua". E' tutto quello che Bersani in questo momento così delicato e difficile possa dire. Ma non è esattamente poco. Vuol dire che non è disponibile a farsi da parte, e che la linea resta quella decisa in direzione: il doppio binario, il suo.

Intanto però, con l'intervista al Corriere della Sera, puntellata da un paio di tweet ben assestati nel corso della giornata, la nuova strategia di Renzi fa un salto di qualità. Passata la fase di "lealtà&silenzio", passata la fase "Sun Tzu" stile attesa sul greto del fiume, il sindaco di Firenze pare voler entrare subito in partita – senza aspettare il prossimo turno.

Le linee direttrici sono due: una, è quella presentarsi come una fazione interna a sé stante del Pd. Non un altro partito: piuttosto, intanto, un interlocutore autonomo nella ditta. Per questo, l'altro giorno i dieci senatori renziani hanno presentato la proposta di legge per abrogare tout court il finanziamento pubblico ai partiti (facendo infuriare i bersaniani). Per questo, adesso, i renziani vanno sussurrando ai quattro venti che il sindaco di Firenze potrebbe essere uno dei tre grandi elettori indicati dalla Toscana per eleggere il capo dello Stato. Un modo per dire che (si realizzi o no l'ipotesi di vederlo nell'aula di Montecitorio) Renzi vuol avere un ruolo nell'elezione del prossimo capo dello Stato, un ruolo ancor più forte di quello che avrebbe comunque, essendo titolare di un pacchetto di cinquanta parlamentari a lui vicini. Per fare che? Di preciso non è dato saperlo, perché in effetti tra i nomi finora circolati per il Quirinale nessuno è potabile per il sindaco di Firenze. Di certo, però, si vuol far valere la forza di interposizione: senza i voti dei renziani il Pd non ce la farebbe da solo a eleggere il capo dello Stato al quarto scrutinio. E' dunque per questo che la portavoce di Bersani alle primarie, Alessandra Moretti, chiarisce con largo anticipo che "franchi tiratori tra i renziani spaccherebbero il partito".

L'altra direttrice è quella che scommette sul fallimento del "doppio binario" di Bersani (governo al Pd, grandi riforme condivise). E che anzi manovra per ottenerlo. Dopodiché, l'obiettivo non sarà l'accordo con Berlusconi ?€“ che pure oggi Renzi mette sul piatto ?€“ ma il ritorno alle urne. In questo senso, quando dice "col Pdl o alle urne" il sindaco di Firenze pone in realtà una "falsa alternativa", spiega un ex popolare del Pd.

 

 

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