Migliaia di persone allo Staples Center di Los Angeles per l'ultimo saluto al re del pop. Diretta tv in mondovisione. Sul palco artisti e amici. E i ricordi struggenti di chi gli era più vicino





LOS ANGELES - L'aspetto più toccante della cerimonia è stato senza dubbio l'accenno alle qualità umane di Michael Jackson.

 

La figlia che ha pianto come si piange per un bravo papà che non c'è più, le parole di Brooke Shields che ha descritto il giovane Michael come un tenero amico, uno che amava ridere, scherzare, che risolveva con un sorriso ogni questione, che entrava con lei di nascosto nella stanza di Liz Taylor per scoprire com'era il suo vestito di nozze.
Questi racconti hanno restituito una umanità che il mito aveva reso invisibile, misteriosa. Jackson l'alieno, l'extraterrestre dalla irreale consistenza, l'icona che si era disegnato come sognava di essere, bianco, e con un viso che ricordava le sue adorate Diana Ross e Liz Taylor.
E notevoli sono stati anche i predicatori che hanno ricordato come la vicenda artistica di Jackson abbia aperto le porte a molte conquiste del mondo afroamericano: l'artista del crossover che aveva saputo parlare a tutti, amato in ogni angolo del mondo, senza distinzioni di razza, lingua, cultura. Il Jackson che con Lionel Ritchie ha scritto We are the world per combattere la fame nel mondo del sottosviluppo.
Più debole l'omaggio musicale, con l'eccezione di uno straziante e delicato Stevie Wonder che ha usato una sua vecchissima e struggente canzone, I never dreamed you'd leave on summer, che sembrava cucita apposta per la tragica occasione, un addio in piena estate, un addio che nessuno si sarebbe mai immaginato di dover celebrare, a pochi giorni da un trionfale ritorno alle scene, programmato per il 13 luglio alla 02 Arena di Londra, dopo anni di buio, di incertezze, di indegni sospetti.

Considerando la statura di Jackson, ci si poteva aspettare qualcosa di più, o almeno qualcosa di più del pur bravo John Mayer, di Usher e Mariah Carey. Per una celebrazione planetaria, per essere all'altezza del personaggio ci sarebbe voluto Paul McCartney, che una volta ha duettato con lui, oppure Madonna, l'altra grande icona pop cresciuta in perfetta sincronia con la sua vicenda.
Mancanze musicali a parte l'addio è stato potente. Era quasi palpabile la partecipazione mondiale all'evento, la si poteva intuire dalle immagini della Cnn che inquadravano piazze sparse per l'America, tra cui il palazzo della Motown a Detroit, la grande famiglia dove Jackson era cresciuto artisticamente, come ha ben spiegato il grande capo, l'ottantenne Berry Gordy, il primo che ha strappato un sorriso alla accorata platea raccontando gli aneddoti della rivalità positiva che si viveva all'interno dell'etichetta.
Abbiamo visto molte immagini ma di sicuro le più impressionanti sono quelle di Jackson bambino che già cantava come un adulto, come ha spiegato Smokey Robinson, riusciva a interpretare sentimenti che un ragazzino non avrebbe neanche dovuto poter immaginare.
Questo è l'addio al re che l'America ha voluto incoronare, il re che la cultura pop ha spinto sulla cima del mondo dello spettacolo. Il re, o meglio, come ha spiegato Brook Shields, il piccolo principe, l'immagine che più si adatta all'eterno ragazzino che sognava di non dover mai crescere per vincere la sua battaglia di innocenza contro il mondo.




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