Il regista di Non escludo il ritorno nuovamente nelle sale con un film dal sapore “neorealista” che ricorda (degnamente) l’indimenticabile Pier Paolo Pasolini.

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Un gruppo di minorenni nella periferia romana vive nel degrado, nel sopruso e nella violenza, dando vita a una serie di situazioni estreme di criminalità e si frustrazione. Immagini forti, crude, a tratti sconvolgenti per un film che non annoia mai e che cattura lo spettatore dall’inizio alla fine, senza un attimo di calo emotivo. La fotografia di un mondo cinico e spietato, ma al tempo stesso vero e palpitante, che pure trasmette tra le righe un messaggio di speranza e di possibile redenzione. Baby Gang è tutto questo e anche molto di più.

Stefano Calvagna è un cineasta atipico nel nostro panorama cinematografico: sforna film a getto continuo, con budget estremamente ridotti e pochi mezzi, senza peraltro che i risultati artistici ne risultino minimamente penalizzati. Anzi, riescono a diventare addirittura un valore aggiunto. Da collega faccio i miei più sentiti complimenti a Stefano per l’abilità di riuscire sempre a centrare gli obiettivi che si prefigge. La sua ultima opera, intitolata per l’appunto Baby Gang, è in distribuzione in questi giorni sugli schermi italiani e c’è da giurare che non passerà inosservata, a differenza di molti lavori pseudo-impegnati, diretti da registi presuntuosi e raccomandati, che usufruiscono di pubblici finanziamenti e che poi non trovano minimamente sbocco sul mercato. Calvagna paga forse lo scotto di non appartenere a nessuna “casta”, di infischiarsene del “sistema”, di portare avanti il suo discorso con coerenza ed onestà intellettuale. Dopo aver visionato Baby Gang ne sono rimasto entusiasta: un vero e proprio miracolo produttivo. Attori, nella maggior parte dei casi presi dalla strada, che sembrano consumati professionisti, sceneggiatura ineccepibile, che mai penseresti elaborata giorno per giorno dall’autore direttamente sul set, scene e costumi “poveri” ma assolutamente funzionali alla storia. Insomma, un piccolo capolavoro che lascia ben sperare. Sono certo che alla lunga Stefano Calvagna riuscirà ad abbattere i pregiudizi che in genere penalizzano i “cani sciolti” e che ancora in parte ne frenano la carriera, andando ad occupare nel firmamento cinematografico il posto di rilievo che certamente merita, soprattutto se rapportato ai cosiddetti professionisti dell’assistenzialismo, che continuano a fare film brutti e inutili, con l’alibi della presunta “cultura”.

Vorrei infine segnalare l’interpretazione di Claudio Vanni, già visto nel precedente film di Calvagna dal titolo Cattivi & Cattivi, un attore davvero molto bravo, con un volto interessante e dotato di una recitazione asciutta ed incisiva, quanto mai efficace.

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