La storia relativa all’audio e, quindi, all’ambito 
                della registrazione e della riproduzione, si sviluppa per lo più 
                a partire dalla fine del 1800 con l’invenzione del grammofono 
                di Berliner nel 1893, che altro non era che una evoluzione del 
                fonografo proposto una ventina di anni prima da parte di T. A. 
                Edison. Il grammofono di Berliner era infatti una sorta di fonografo 
                a disco, il cui principio di funzionamento è rimasto per 
                lo più invariato fino ai giorni nostri, eccetto per il 
                fatto che, in origine, andava alimentato manualmente e che aveva 
                una velocità di lettura in riproduzione di 70 rpm. Tuttavia, 
                nel 1925, la prima registrazione elettrica rappresentò 
                un passo importante e fu premessa fondamentale allo sviluppo della 
                tecnologia degli anni successivi. Gli anni ’30 infatti videro 
                innovazioni di un certo rilievo, tra cui l’introduzione 
                dell’ LP (long playing), in lettura a 33 rpm, e il cui sviluppo 
                fu curato dalla nota CBS, la stessa che all’inizio degli 
                anni 70 rilevò la Fender Guitars, segnando la fine della 
                produzione di chitarre di liuteria e rendendo così l’attuale 
                mercato vintage così ricco. L’ obbiettivo principale 
                della ricerca era quello di migliorare la qualità di ascolto 
                senza gravare eccessivamente sui costi di produzione, cosi che 
                si potesse sviluppare un mercato consumer. Un certo miglioramento 
                qualitativo fu infatti ottenuto con il 45 rpm, introdotto dalla 
                RCA. Negli anni 60 il passaggio in Broadcast dall’AM all’ 
                FM, segnò un aumento della qualità sonora, che fu 
                a sua volta accompagnato da una delle svolte, in campo audio, 
                più significative del secolo appena scorso: l’introduzione, 
                nel 1956, della registrazione stereo. Ritornando al nostro giradischi 
                è importante fare una riflessione super partes: aldilà 
                dell’eterna diatriba che ci impegna continuamente nell’elencare 
                difetti e pregi fra i sistemi analogici e quelli digitali, dato 
                certo è l’aumento del rapporto segnale/rumore che 
                si è ottenuto con l’avvento delle macchine digitali. 
                Il range dinamico di un Cd audio è di 90 db mentre un registratore 
                LP ottiene, in stereo, un massimo di 65 db fra i 30 Hz e i 15 
                Khz. Sebbene questo miglioramento qualitativo nel digitale abbia 
                portato, nell’attività di studio, una serie di conseguenti 
                interventi per migliorare le condizioni di registrazione, fra 
                cui, ad esempio, l’abbassamento dei livelli massimi di rumore 
                (Noise Criterion) presenti in studio, non dobbiamo dimenticare 
                la sua enorme importanza. Infatti i giradischi, così come 
                i registratori a nastro possiedono un rumore proprio, generato 
                dal contatto della testina su nastro o disco, dal suo scorrimento, 
                che non si può in alcun modo eludere; al punto che, con 
                la nascita del disco stereo, ridurre il peso e la pressione della 
                puntina su disco fu uno dei principali obbiettivi , insieme all’utilizzo 
                di servo motori che fossero stabili, immuni dalle vibrazioni e 
                a velocità costante. Per quanto riguarda i registratori 
                a nastro, negli anni ’70, vennero introdotti sistemi quali 
                il Dolby, sviluppato dalla stessa Dolby, che tentavano di migliorare 
                il rapporto segnale / rumore. A livello consumer, il registratore 
                a nastro (a cassette) venne introdotto nel 1963 ed ebbe un impatto 
                molto forte su tutti i tipi di utenti: la sua semplicità 
                di utilizzo e il costo ridotto ne consentì le applicazioni 
                più diverse. In seguito, alla fine degli anni ’70, 
                ci si rese conto che, in qualche modo lo sviluppo della registrazione 
                analogica aveva toccato i suoi limiti, almeno se si voleva considerare 
                necessario il compromesso fra la qualità e i costi di ricerca 
                e di produzione. Questi limiti erano legati in qualche modo alla 
                ridotta risposta in frequenza, al rapporto segnale/rumore, in 
                particolare se si considera il fenomeno “collo di bottiglia” 
                che si genera nella catena di processamento del segnale, alla 
                distorsione causata dalla non linearità delle macchine, 
                etc…
                Ed ecco il digitale: il primo esempio di registrazione digitale 
                PCM fu sviluppato dai giapponesi della NHK (Japan Broadcasting 
                Corporation), mentre il primo esemplare era costituito da un VTR 
                a 4 testine, con un nastro da 2 pollici, convertitore a 13 bit 
                e frequenza di campionamento che si aggirava intorno ai 48 Khz. 
                Ma cos’è un registratore PCM? PCM sta per Pulse Code 
                Modulation ed è un registratore costituito da 3 sistemi 
                fondamentali: un convertitore analogico-digitale, che converte 
                le tensioni elettriche presenti in ingresso in un segnale digitale, 
                un convertitore digitale-analogico che compie il processo esattamente 
                opposto in uscita, ed un supporto, quale un nastro magnetico nel 
                caso del primo registratore PCM (sviluppato dalla Sony-PCM F1-) 
                sul quale registrare e dal quale riprodurre il segnale.
                Dal punto di vista tecnico in realtà il processo di conversione 
                è costituito da due momenti distinti: il primo è 
                il Campionamento, in cui il segnale viene rilevato ad istanti 
                regolari per un numero di volte al secondo determinato dalla frequenza 
                di campionamento con cui si sceglie di operare. Così come 
                in un film quello che noi vediamo non è che una serie di 
                foto, l’una successiva all’altra, il cui numero per 
                ogni istante è talmente alto da offrirci un’immagine 
                fluida e continua, allo stesso modo il segnale audio viene campionato 
                un numero tale di volte al secondo da rendere un ascolto reale 
                rispetto alla sorgente registrata. A questo riguardo il Teorema 
                di Nyquist stabilisce che la frequenza di campionamento di un 
                segnale audio deve essere almeno il doppio della frequenza massima 
                dello spettro udibile ed essendo la frequenza più alta 
                dello spettro umano pari a 20000 Hz, una frequenza di campionamento 
                di 44.100 Hz, quale quella standardizzata del Cd Audio, risponde 
                a questo teorema. A questo processo si affianca quello della Quantizzazione: 
                le tensioni relative ad ogni istante campionato vengono tradotte 
                in numeri binari per poter essere gestite in dominio digitale. 
                Ogni parola digitale, costituita da una serie di bit, rappresenta 
                quindi una tensione relativa. Esistono poi problemi relativi al 
                rumore (rumore di quantizzazione) che questo processo genera attraverso 
                l’inserimento di armoniche nella banda audio e relative 
                tecniche (dither), di elaborazione digitale, che permettono di 
                mascherarlo. Con questa breve premessa tecnica, ora sarà 
                forse più semplice capire la differenza fra un registratore 
                a 16 bit ed uno a 24, o fra una frequenza di campionamento 44.100 
                Hz e una 48.100 Hz. 
                Tornando al primo registratore digitale PCM, ricordiamo che l’avvento 
                del digitale sconvolse in maniera profonda il mondo dell’audio, 
                sia a livello professionale che consumer. Nel 1983 venne lanciato 
                il Compact Disc in Europa: la sua introduzione permise a tutti 
                di apprezzare la qualità e la velocità applicativa 
                dei sistemi digitali. 
              Fra le sue caratteristiche: 
                1) Range Dinamico 90 db su tutte le frequenze dello spettro udibile
                2) Distorsione armonica inferiore allo 0,001%
                3) Rapporto segnale/rumore Non vi è contatto fisico fra 
                puntina e disco, quindi non vi è rumore né deterioramento 
                con il riascolto
                4) Accesso Random Si può accedere in maniera diretta in 
                qualsiasi punto del disco 
                5) Dimensioni Appena 12 cm di diametro
                6) Tempo di riproduzione 74min 
              Ancora di più queste specifiche assumono valore se poste 
                a confronto con i precedenti sistemi di registrazione analogica, 
                considerando anche l’ultimo stadio di tecnologia dei registratori 
                LP. Se parliamo di Compact Disc, parliamo di dischi ottici: un 
                raggio laser registra delle impronte sulla superficie del disco 
                seguendo una spirale che ha la sua origine al centro del disco. 
                Se non vi sono impronte la luce verrà riflessa al 100 %, 
                al contrario se vi sono, solamente una parte del fascio originale 
                di luce verrà riflesso in modo tale che queste variazioni 
                di intensità vengano tradotte in parole digitali. Questo 
                spiega perché la presenza di polvere, graffi sulla superficie 
                del disco può influenzare l’ascolto o addirittura 
                comprometterlo. Il segnale audio digitale non rappresenta l’unico 
                flusso di dati presente sul CD, ma vi sono informazioni aggiuntive 
                che fanno riferimento alla correzione di errori, ai segnali di 
                sincronizzazione, a dati di controllo, e fra queste la TOC (Table 
                of Contents), la tabella che gestisce informazioni sul contenuto 
                del disco. Lo standard del Cd-Audio è di 16 Bit a 44.100 
                HZ.
                Per molti anni le registrazioni audio di alto livello venivano 
                realizzate utilizzando registratori video convenzionali, ma l’esigenza 
                di gestire l’audio su un supporto a nastro specifico portò 
                all’introduzione del DAT. DAT ( Digital Audio Tape ) ed 
                è un nastro audio digitale basato fondamentalmente sul 
                sistema del registratore video a testina rotante; ne sono state 
                sviluppate, in realtà, due tipologie: l’ R-DAT, un 
                nastro audio digitale a testina rotante, e l’ S-DAT, un 
                nastro audio digitale a testina fissa. Nonostante le origini di 
                progettazione l’ R-DAT si distingueva dai registratori video 
                a testina rotante per il fatto che la testina aveva contatto con 
                il nastro solo per il 50 %, poiché il segnale audio era, 
                in realtà, compresso nel tempo; a livello pratico questo 
                particolare tecnico permetteva un’usura del nastro notevolmente 
                minore nonché una minore quantità di tensione di 
                movimento che significava maggior tempo di riproduzione a disposizione. 
                Il suo standard gli permetteva di lavorare a tre frequenze di 
                campionamento diverse: 48.1Khz, 44.1 Khz, 32 Khz ed una quantizzazione 
                lineare a 16 bit o non lineare a 12 bit, che permetteva di aumentare 
                il tempo di riproduzione. Il DAT vide poi un’ulteriore evoluzione 
                con l’ NT-DAT, una tecnologia che offriva una minore sensibilità 
                agli urti e ad ogni forma di vibrazione, ma questa non ebbe grande 
                diffusione a livello commerciale, eccetto per alcuni sistemi di 
                lettura, in particolare nelle installazioni nelle autovetture.
              Una delle applicazioni consumer che ha avuto più successo 
                negli ultimi anni, ovvero dall’anno della sua presentazione, 
                nel 1992, è stato il MINIDISC. Il Minidisc consiste di 
                un sistema che ha come supporto un disco riscrivibile e non un 
                nastro magnetico. Le sue dimensioni sono inferiori rispetto a 
                quelle del Compact Disc: la possibilità di poter gestire 
                migliaia e migliaia di registrazioni sullo stesso supporto, la 
                sua economia e leggerezza e l’elevata insensibilità 
                alle sollecitazioni meccaniche lo rendono un prodotto interessante. 
                Tuttavia, a livello professionale, una certa diffidenza ed un 
                mancato adeguato sviluppo sono giustificati da un aspetto: è 
                ovvio che, viste le dimensioni ridotte, per poter avere la stessa 
                capacità di dati di un Compact Disc, il segnale deve essere 
                necessariamente compresso; questo sistema di compressione è 
                chiamato ATRAC e sta per Adaptive Transform Acoustic Coding: è 
                sì una compressione, ma che cerca di diminuire la densità 
                di informazioni sul segnale in funzione delle caratteristiche 
                del segnale in ingresso, nonché delle proprietà 
                dell’ascolto umano, senza così degradare la qualità 
                del suono. Il tasso di compressione è di 1:5 rispetto ad 
                un Compact Disc. Tuttavia, bisogna inoltre considerare il principio 
                di base della tecnologia Minidisc, ovvero che i dati memorizzati 
                perdono il loro legame con il segnale audio originale, poiché 
                esso viene, in realtà, ricostruito attraverso una complessa 
                serie algoritmica.
                Verso la fine degli anni ’90, un passo avanti rispetto ai 
                limiti di qualità sonora del Compact Disc che erano ormai 
                noti dalla metà degli anni ’80, fu rappresentato 
                dalla presentazione sul mercato di un nuovo formato: il SACD – 
                Super Audio Cd. Le sue capacità sono notevolmente superiori 
                a quelle del CD convenzionale: innanzitutto non si campiona più 
                a 44.100 Hz ma a 2.8224 Mhz, la codifica non è a 16-bit 
                PCM ma ad 1-bit DSD e la capacità può arrivare 8540 
                Mb per un massimo di 255 tracce. In realtà esistono tre 
                tipologie di disco, quello a strato singolo e memoria di 4,7 Gb, 
                il disco a strato doppio che permette un tempo di riproduzione 
                maggiore ed infine il disco ibrido che possiede un’enorme 
                flessibilità di utilizzo, vista la compatibilità 
                con i lettori di comuni Compact Disc. Il Super Audio Cd si serve, 
                nella codifica del segnale, del sistema DSD, Direct Stream Digital; 
                questo sistema permette di lavorare su una banda che arriva a 
                100 Khz e permette quindi di considerare quel contenuto armonico, 
                oltre la soglia di udibilità, che è un’importante 
                informazione musicale nell’ascolto. Appena è stato 
                possibile costruire convertitori ad alta velocità, il sistema 
                DSD ha compensato i limiti del normale Compact Disc; la filosofia 
                del Direct Strema Digital è quella di convertire direttamente 
                il segnale analogico in una serie di impulsi 0 e 1, sostituendo 
                il classico convertitore D/A in uscita con un più semplice 
                filtro passa basso; anche il livello di rumore è, in qualche 
                modo, meno problematico, in quanto viene spostato alle alte frequenze 
                rendendo così non necessario l’utilizzo di noise 
                shaping nonché di complessi e costosi filtri digitali. 
                Simile al formato SACD è il DVD-Audio (DVD – Digital 
                Versatile Disc); Pur utilizzando il sistema di codifica PCM già 
                utilizzato per i CD, il DVD-Audio permette di gestire frequenze 
                di campionamento fino a 192 Khz, con una larghezza di banda che 
                arriva ai 96 Khz ed utilizzando una quantizzazione a 24 bit. Per 
                ottenere un tempo massimo di registrazione pari a 74 min a 24 
                bit, è stato sviluppato un particolare sistema di compressione 
                che prende il nome di MLP – Meridian Lossless Packing. Questa 
                tecnologia di compressione effettua una sorta di confronto fra 
                serie successive di campionamenti e, invece di codificare l’intero 
                segnale, considera solo le differenze fra questi, permettendo 
                di non perdere bit in uscita e riuscendo a risparmiare il 50 % 
                della capacità su disco. Si può anche gestire il 
                multicanale, arrivando a sei canali a 192 Khz o a 36 a 32 Khz, 
                anche se in realtà bisognerebbe ottenere un compromesso 
                di sample rate diversi per i vari canali. La struttura di un DVD-Audio 
                è simile a quella di un Compact Disc, con l’unica 
                eccezione che rappresenta la possibilità, nel primo, di 
                creare fino ad un massimo di nove gruppi, permettendo così 
                una navigazione più semplice.
                Si è visto come spesso l’ottenere un alta qualità 
                audio insieme ad una grande capacità di immagazzinamento 
                di dati, richieda l’utilizzo di tecniche di compressione 
                del segnale: la nota codifica MPEG, utilizzata anche in sistemi 
                di compressione più complessi, comprime il segnale fino 
                ad un rapporto di 1:12; similarmente alla tecnica ATRAC, precedentemente 
                vista nel Minidisc, questa codifica tiene conto, in particolar 
                modo, delle caratteristiche psicoacustiche dell’ascolto: 
                fra queste le curve di Isofonia che rappresentano una sorta di 
                risposta in frequenza dell’orecchio umano, evidenziando 
                la sua scarsa sensibilità alle basse frequenze ed un suo 
                picco tra i 2000 e i 4000 Hz, l’effetto di mascheramento 
                che fa sì che una frequenza con un determinato livello 
                tenda a coprire le frequenze adiacenti di livello minore, e, per 
                ultimo, l’effetto di questo stesso mascheramento a livello, 
                però, temporale, ovvero indipendentemente dalla simultaneità 
                della presenza del tono di livello più forte rispetto a 
                quello più debole. Il principio di base della compressione 
                MPEG è legato alla divisione dello spettro audio in 32 
                bande critiche. Le bande critiche sono una caratteristica del 
                nostro ascolto e sono, in altre parole, dei filtri passa banda 
                centrati intorno a qualunque frequenza che limitano, in qualche 
                modo, la nostra sensibilità rispetto alla percezione di 
                variazioni in frequenza. Il primo stato MPEG riduce di quattro 
                volte la quantità di dati, con una velocità di trasferimento 
                di 384 Kb/s, tenendo in considerazione un segnale PCM 16 bit a 
                44.1 Khz; il secondo strato riduce da 6 ad 8 volte mentre il terzo 
                fino a 12 volte a 112 Kb/s. Miglioramenti di questi aspetti della 
                codifica hanno portato lo sviluppo di compressioni diverse, specifiche 
                per ogni applicazioni.
                L’arrivo di nuovi sistemi di registrazione digitale ha notevolmente 
                modificato la possibilità di copiare i dati da supporti 
                diversi, con tutti i problemi relativi alle questioni di Copyright. 
                Tuttavia, una tecnica utilizzata per limitare questa possibilità 
                è la SCMS – Serial Copy Management System; tale tecnica 
                permette, tra connessioni digitali e se il materiale di origine 
                è protetto da Copyright, di eseguire una sola copia del 
                prodotto. Le informazioni necessarie a questo sistema di protezione 
                fanno parte di quella serie di dati ausiliari contenuti in ogni 
                sistema di registrazione digitale, gli stessi che vengono poi 
                modificati nel nuovo supporto di copiatura per identificare quest’ultimo 
                come una copia e non un originale, in modo tale da non consentire, 
                secondo la SCMS, ulteriori copie. 
                Rimanendo in ambito di connessioni digitali, un importante standard 
                di collegamento tra apparecchiature digitali è stato sviluppato 
                dalla Sony/Philips con il nome di SPDIF – Sony/Philips Digital 
                Interface Format: una sola linea gestisce un segnale stereo.  
              
              Paolo Paterna