di Paola Pilati
Norme rigorose per le low cost. Meno scali e specializzati a seconda delle rotte. Limiti ai sindacati. Il progetto del ministro Bianchi
Ecco il messaggio per il potenziale compratore di Alitalia: non gli chiediamo solo precise garanzie, piantando paletti alla privatizzazione, ma gli offriamo anche un mercato che cambia. Stiamo preparando condizioni ambientali che faciliteranno il risanamento della compagnia... Parola del titolare dei Trasporti, Alessandro Bianchi: il consiglio dei ministri ha appena dato il via libera al suo 'atto di indirizzo per la riforma del trasporto aereo nazionale', cinque cartelle che promettono una rivoluzione, e il settore è in fibrillazione.

Pacco o non pacco?, si erano chiesti i potenziali acquirenti dopo la decisione del governo di mettere in vendita l'Alitalia (sul mercato andrà il 30,1 per cento della quota del Tesoro), dove 'pacco' sta per fregatura: troppi i vincoli sul fronte occupazionale, salatissimo l'impegno finanziario per l'Opa, l'offerta pubblica d'acquisto obbligatoria su tutto il capitale. La scesa in campo a stretto giro di Bianchi apre il portone della trattativa. E lancia precisi segnali di un cambio di vento a due indirizzi nuovi: uno è quello del sindacato. "Con le organizzazioni sindacali tocca fare un discorso franco", dice il ministro: "Se l'Alitalia si è salvata finora è perché negli anni lo Stato ci ha messo soldi su soldi, 5 miliardi in tutto, una cifra enorme. Ma cosa è successo nel sindacato? Che ognuno ha coltivato il suo orto. Ebbene: la ricreazione è finita. L'attenzione ai livelli salariali e sull'occupazione deve essere compatibile con le esigenze della compagnia: se è vero che questa è una risorsa del Paese, le posizioni sindacali retrive non vanno rincorse per forza".

Se questo fronte già potrebbe bastare, soprattutto per un ministro che viene dai Comunisti italiani, Bianchi non si ferma qui. E spara in un'altra direzione: gli aeroporti. "Abbiamo troppi aeroporti, e non ci sono regole precise sulle compagnie low cost. Chiunque ha un aereo e due equipaggi apre una linea. Ma i controlli non sono sufficienti. Peccato che questo il passeggero non lo sappia: sa solo che paga 15 euro per andare a Londra e va".

Ma come, quel grande fenomeno che ha reso popolare il volo, che ha aperto i cieli alla middle class e ai giovani squattrinati, spingendo verso la scaletta di un aereo chi mai prima ci sarebbe salito, quel fenomeno chiamato low cost che ha tagliato l'erba su cui pascolavano e si ingrassavano le grandi compagnie, comincia a odorare di zolfo? E gli aeroporti locali, che spuntando come funghi in ogni angolo della Penisola hanno decretato il successo dei nuovi protagonisti, sono lo strumento del diavolo? "Se si trattasse davvero di operazioni a carattere imprenditoriale, niente da dire", spiega il ministro: "Ma nella maggior parte dei casi non è così. Le società aeroportuali pagano per attirare le compagnie. E quasi sempre si tratta di soldi pubblici". Insomma, va a finire che è l'erario che finanzia le low cost e che, in ultima analisi, paga il biglietto a quelli che le utilizzano.

Anche qui, a un comunista la cosa dovrebbe piacere. Invece, questo professore prestato alla politica e scelto da Oliviero Diliberto a raddrizzare dal fallimento i trasporti nazionali, dichiara che la scommessa del suo partito è: "Dimostrare che si può governare da sinistra". Quindi, basta con le mille sigle sindacali, che affollano trattative estenuanti: "Ci dovrebbero essere delle soglie alla rappresentanza. Ma a stabilire quali dovrebbe essere il sindacato stesso". Soprattuto, occorre uno scossone all'Italia delle cento piste di atterraggio. "Per gli aeroporti la ricerca di un buon servizio per l'utente sembra essere l'ultima cosa. Basta entrare a Fiumicino e si capisce che del passeggero gliene importa poco: fai una fila di tre quarti d'ora al check-in, i bagagli chissà se arrivano. Però puoi comprarti delle scarpe di lusso. L'impressione è che se il passeggero non diventa un cliente-consumatore resta solo un peso", si sfoga Bianchi. Ma in primo luogo, è la 'libertà' degli scali sul piano dei collegamenti che deve avere una regola. In concreto?"Vogliamo fare una classificazione degli aeroporti per dire quali sono di rango nazionale, regionale o locale. O quali hanno solo un traffico stagionale. Oggi tutti possono fare quello che vogliono. Sembra una grande libertà, ma non lo è". Perché spesso si fanno concorrenza, magari a pochi chilometri di distanza. Ecco un esempio, proprio nel territorio del ministro, eletto in Calabria: nella regione c'è un aeroporto a Reggio, uno a Lamezia, un altro a Crotone. E se ne vorrebbero fare altri due: candidate Sibari e Vibo Valentia. Che senso ha una simile moltiplicazione? Altro esempio, il Lazio. Nei piani regionali si sponsorizzano le ambizioni di due nuovi scali, Latina e Frosinone. In quest'ultimo caso, la Provincia ha stanziato 4,5 milioni di euro per il piano di fattibilità che dovrebbe trasformare una pista per elicotteri in prossimità di una montagna in una per aerei. Obiettivo? Intercettare una parte del traffico della Ryanair che oggi scende su Ciampino, i cui abitanti non ne possono più per il rumore del via vai della regina delle compagnie low cost. Ma le ambizioni di Frosinone potrebbero essere bruciate dalla nascente candidatura di Viterbo. E se nel Sud ha appena rimediato una concessione aeroportuale Grottaglie, per via del fatto che lì nasce una fabbrica che lavora per la Boeing, al Nord Venezia Lido ambisce a passare da scalo per executive a qualcosa di più; mentre in Sicilia cresce Comiso, che col business del pachino sta facendo decollare anche quello dei voli.

 

Su questa babilonia il ministro vorrebbe calare la scure della sua classificazione. "A cosa serve, a limitare l'attività? Ma le low cost non le può limitare nessuno", strilla il presidente di Assaeroporti Domenico Di Paola. E come poi dovrebbe realizzarsi questa classificazione? I criteri sono più d'uno: valutare infrastrutture, dotazioni di sicurezza e livello di qualità dei servizi aeroportuali, servirebbe a dare 'le stelle' agli scali come fossero hotel. Ma il criterio principe, quello più oggettivo, non può che essere quello del numero dei passeggeri: sopra il milione o sotto. Così avrebbero la classificazione di 'nazionali' poco più della metà degli aeroporti italiani, gli altri - da Brindisi a Pescara, da Ancona a Trieste - rischiano l'etichetta di 'regionali'. Con quali conseguenze? "Non si tratta di eliminare degli aeroporti, ma di stabilire cosa possono fare", dice il ministro: "Per esempio, da Reggio Calabria, in piena estate, si può essere in un'ora alle Eolie: c'è una vocazione stagionale. Altro caso, l'Emilia-Romagna, dove c'è una overdose di aeroporti. Se fossero gestiti da un'unica società, invece di farsi concorrenza, potrebbero specializzare le destinazioni". Insomma: "Si tratta di fare una sana programmazione: la liberalizzazione è tale se i vari soggetti si possono muovere in un quadro di regole. Altrimenti è solo anarchia, da cui a guadagnare non è mai il passeggero", conclude il ministro.

Tutto bene, ma qualcuno dovrà rinunciare a qualcosa? "Questo è certo, non ci piove", dice Bianchi. Già, ma a cosa? Intanto, i regionali dovranno scordarsi il traffico internazionale. Basta dispersioni di passeggeri in mille rivoli. Per viaggiare fuori dei confini nazionali si dovrà andare negli aeroporti classificati per farlo. Esattamente l'obiettivo che si intendeva raggiungere con la costruzione degli 'hub' di Fiumicino e Malpensa, che non si è ottenuto per la fuga dei passeggeri dagli aeroporti minori. Tutta questa storia ha un netto sapore di intervento pro Alitalia, ma il ministro non si sottrae: "Un aiuto ad Alitalia, che finora è stata danneggiata dalle low cost? Non lo nascondiamo. La Francia non si è fatta scrupoli a sostenere la sua compagnia di bandiera. Noi pensiamo che Alitalia sia un asset del Paese: vogliamo che torni quello che era".

Anche se le proteste degli enti locali e dei gestori aeroportuali non si faranno attendere, Bianchi non si preoccupa. "Ascolteremo tutti, e alla fine il sistema ne trarrà vantaggio", promette. Il ministro ha comunque un'arma in mano, e cioè le concessioni per l'attività aeroportuale. Oggi è l'Enac a darle, ma il ministero vuole prendere per sé questa prerogativa, compensando lo scippo con il conferimento all'ente di un altro potere non indifferente, quello di stabilire gli slot, cioè i diritti di decollo e atterraggio, che sono il vero tesoro delle compagnie.

Per ora, le nuove concessioni sono di fatto bloccate. La lista d'attesa degli aeroporti che aspirano a ottenerne una comprende Cagliari e Catania, Palermo e Verona, Brescia e Trieste, Alghero e Lamezia, cioè un bouquet di scali di primo piano, tranne Trieste e Brescia tutti oltre il milione di passeggeri. L'elenco si allunga anche ad altri piccoli aeroporti o aspiranti tali: Perugia, Ancona, Treviso, Albenga, Reggio Emilia, Crotone, Cuneo, Forlì, Siena, Rimini, Asiago, Vicenza, Venezia Lido. Una bella fetta del sistema nazionale. Le richieste sono per concessioni di 40 anni: "Quasi l'alienazione di un bene", commenta Bianchi, e si capisce che non è convinto. Il suo orizzonte è assai più breve: i sei mesi previsti per la privatizzazione di Alitalia. Chissà se riuscirà a portare a casa la sua riforma nei tempi giusti per convincere un compratore.

 

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