In Italia si contano circa 4.000 nuovi casi l'anno.  lanciare l'allarme gli esperti dell'Istituto S.Gallicano: ''L'infezione da Hiv aumenta tra le popolazioni a rischio sessuale. Oltre la metà (55%) dei nuovi casi scopre di essere sieropositivo solo al momento della diagnosi o poco prima. Servono screening preventivi come si fa per il cancro al seno''

  


Roma (Adnkronos) - L'Aids torna a diffondersi tra la popolazione omossesuale. Questo uno dei dati che emerge dall'attività dell'Istituto dermatologico San Gallicano di Roma, che rappresenta un osservatorio privilegiato sulla diffusione dell'infezione da Hiv per via sessuale, con il servizio di dermatologia infettiva e delle malattie sessualmente trasmesse.



"Il problema attuale è che l'infezione da Hiv aumenta tra le popolazioni a rischio sessuale - spiega il responsabile del centro romano Guido Palamara - soprattutto tra gli omosessuali. Questo allarme - continua - richiede interventi di prevenzione primaria per i non infetti, e secondaria per coloro che hanno già contratto l'infezione".

Secondo l'esperto, "gli omosessuali rappresentano oggi la popolazione più vulnerabile, quella su cui noi stiamo lavorando con serietà e impegno attraverso programmi di intervento e di prevenzione mirati. Presso il nostro servizio - rivela - seguiamo oltre 2.000 omosessuali Hiv negativi, e interveniamo affinché non si infettino. Il concetto è lo stesso dello screening per la cervice uterina o per il cancro della mammella: indaghiamo sulla popolazione generale, la controlliamo e facciamo in modo che i fattori di rischio non vengano espressi".

Secondo gli specialisti del San Gallicano sono soprattutto tre le sfide che la lotta all'Aids oggi pone alla comunità scientifica e sanitaria del mondo occidentale. "Arginare la diffusione dell'infezione da Hiv per via sessuale, soprattutto in popolazioni a più elevata vulnerabilità - elenca Massimo Giuliani, di dermatologia infettiva dell'Irccs - ottimizzare l'utilizzo della terapia antiretrovirale allo scopo di migliorarne l'efficacia a lungo termine e l'aderenza, e infine perfezionare la gestione clinica del paziente per contrastare gli effetti indesiderati dei farmaci e le malattie cronico-degenerative nel paziente che invecchia".

La situazione appare seria anche alla luce dei numeri più recenti sulla malattia in Italia. Sulla Penisola sono circa 60 mila i casi di Aids diagnosticati dall'inizio dell'epidemia fino al 31 dicembre 2007. E il numero delle persone con infezione da Hiv si è oggi stabilizzato su circa 4.000 nuovi casi l'anno. Insomma non scende più. Allo stesso tempo aumenta il numero dei pazienti che arriva tardi alla diagnosi di infezione, e che non pratica la terapia antiretrovirale combinata (Haart).

Questo perché oltre la metà (55%) dei nuovi casi scopre di essere sieropositivo solo al momento della diagnosi o poco prima. Inoltre dalla casistica nazionale emerge un aumento dell'età media dei pazienti, 43 anni per gli uomini e 40 per le donne, una diminuzione dell'incidenza tra i tossicodipendenti e un aumento tra gli eterosessuali, in particolare stranieri (che rappresentano oltre il 20% dei casi segnalati nel 2007).

Per fortuna le terapie farmacologiche, se ben somministrate, riescono a ottenere risultati fino a qualche anno fa impensabili. "Gli inibitori dell'integrasi - riprende Palamara - agiscono inibendo l'inserimento del Dna del virus Hiv nel patrimonio genetico delle cellule umane. E quindi ne bloccano la riproduzione. Gli anti-CCR5 invece agiscono bloccando una proteina denominata CCR5, presente sulla superficie delle cellule di un paziente con infezione da Hiv e che funziona da chiave per far entrare il virus nelle cellule". L'esperto spiega che "attaccandosi alla proteina, questi farmaci impediscono al virus di infiltrarsi nelle cellule".

 

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