Respinto il ricorso di un dipendente: non andava d'accordo con i colleghi

BRUNO VENTAVOLI
VENEZIA
Isterici, collerici, malmostosi, attenti a come vi comportate sul luogo di lavoro. E nella pausa caffè fatevi magari una camomilla, perché il caratteraccio può essere una giusta causa per il trasferimento in altre sedi. Lo dice la sentenza 22059 della Cassazione, stabilendo che l’armonia e la serenità della squadra sono un valore fondamentale. Gli allenatori di calcio lo ripetevano come un mantra su ogni canale tv. Stessa cosa facevano i guru dell’organizzazione aziendale. Ora lo afferma anche la legge. Meglio, dunque, stare all’occhio.

La storia comincia a Venezia, nel ‘98, in un cantiere navale. Un elettricista non va d’accordo con i colleghi di lavoro. Litiga e discute. L’azienda decide di calmarlo con tre giorni di ferie obbligate. Poi lo trasferisce in un altro cantiere, contro la sua volontà e dato che non si presenta mai gli sospende pure lo stipendio. Lui, più furioso che mai, fa causa all’impresa per tornare dov’era prima. Ma il tribunale di Venezia nel luglio 2001 gli dà torto. L’azienda è riuscita a dimostrare che quell’elettricista aveva un’indole pessima, guastava il clima con i colleghi.

Stessa sorte avversa quattro anni dopo. Nell’agosto del 2005 la Corte d’appello conferma la decisione del Tribunale sostenendo che «rientrava nel potere dell’azienda trasferire l’uomo per ripristinare un ambiente sereno». L’elettricista non si rassegna e vuole arrivare fino in fondo. Ma perde anche in ultimo grado.

Sposando la decisione dei magistrati di merito, ieri, la Cassazione ha messo nero su bianco che «non si evidenziano vizi logici o errori giuridici nella valutazione operata dalla Corte d’appello in ordine al legittimo esercizio dello ius variandi, con lo spostamento del lavoratore ad altro cantiere ma con mantenimento di mansioni proprie della qualifica rivestita, spostamento giustificato dalla necessità di rasserenare i rapporti tra l’elettricista e i suoi colleghi di lavoro».

Insomma, conclude le motivazioni «Piazza Cavour», «si tratta di una causale che rientra fra le ragioni organizzative». La Cassazione conferma anche che rientra fra i poteri del datore di lavoro collocare d’ufficio in ferie i dipendenti per brevi periodi.

La sentenza, ovviamente, spacca dipartimenti, officine, filande, perché sfiora un tasto dolente per tutti. Basta sostare alla macchinetta del caffè, o girare nei forum del Web per raccogliere pareri opposti. Giustissima sentenza, esulta uno dei partiti, basta la riottosità d’un solo elemento per rovinare l’intero gruppo. Prudenza, ribatte l’altro schieramento più garantista. Bisogna capire perché l’elettricista era sempre fuori giri, magari i colleghi lo trattavano male, lo istigavano a tirare fuori il peggio di sé stesso, perché il nonnismo non campa solo in caserma, e i superiori perfidi non vivono solo al cinema.

Qualche tempo fa, sempre la Cassazione, ha stabilito che un capufficio non può perdere le staffe, insultare, usare linguaggi scurrili con un sottoposto, perché la sua posizione lo obbliga all’autocontrollo. Aver fatto carriera non lo autorizza a dire impunemente «non capisci un c...», pur se arrabbiato. Così come le decisioni contro il mobbing o le molestie sessuali hanno ribadito il diritto fondamentale alla dignità e alla serenità dei dipendenti.

Il caso di Venezia si inserisce nella vastissima, turbolenta, caotica filiera di sentenze sul lavoro. Forse resterà isolato. O forse aprirà la strada al trasferimento nelle più remote filiali siberiane di impiegati con il carattere ostico come Caravaggio. Resta il fatto che in un luogo di lavoro trascorriamo gran parte della nostra esistenza.

Chi ha letto il Genesi e Marx, sa che la fatica non potrà mai essere un paradiso. Ma se ci saranno capi capace di sorridere, colleghi lieti di collaborare, colleghe senza manie di persecuzione, giudici di Cassazione che ristabiliscono il giusto valore dell’armonia, gli uffici e le officine cesseranno per lo meno di essere giungle irrispettose. Non è facile in Italia, uno dei Paesi più litigiosi del mondo, dove la rissa, l’insulto, la cospirazione perfida, sono stati elevati ad arte televisiva. Ma si può provare.