di Paola Pilati
Prepensionamenti. Assunzioni con salario di ingresso. Le ricette per la riforma più difficile: quella degli statali
Risoluzione anticipata consensuale selettiva. La formula appare ermetica, ma per gli statali è semplicemente ciò che per tutti gli altri lavoratori si chiama prepensionamento. È con questa soluzione che il governo potrebbe aggredire il moloch della pubblica amministrazione, a cui devolve il 25 per cento delle entrate sotto forma di stipendi. Stipendi che vanno a pagare un lavoro che per metà del tempo serve solo a tenere in vita la stessa macchina amministrativa.
Per il momento una risoluzione selettiva (anche se non consensuale) l'hanno cercata alcuni ministri della nuova maggioranza, chiedendo di bloccare alla Corte dei Conti le nomine dei dirigenti decise dai loro predecessori e non ancora registrate. Sono stati revocati dagli incarichi di Aldo Fumagalli, ex sindaco di Varese nominato direttore generale dell'Istruzione dalla Moratti, e un manipolo di superdirigenti nominati da Rocco Buttiglione ai Beni Culturali, da Piero Graziani e Gino Famiglietti, da Elio Garzillo a Francesco Scoppola, sgambettati in extremis dal neo-titolare Francesco Rutelli. Ma fin qui è puro spoil system, che potrà ancora riservare qualche sorpresa tra le file degli 80 capi dipartimento, cioè i dirigenti top dell'amministrazione pubblica, coloro i quali entro i 90 giorni dall'insediamento del nuovo governo devono ricevere la riconferma, altrimenti cessano dall'incarico. E il termine scade subito dopo Ferragosto. Quello che il governo ha in mente però è un'operazione molto più ambiziosa. La tentazione di ricorrere a uno snellimento forzato, e incentivato a suon di quattrini, dei ranghi dei suoi tre milioni e 300 mila dipendenti è contenuta nel dossier che il ministro della Funzione pubblica Luigi Nicolais ha sul tavolo dal primo giorno in cui ha messo piede a palazzo Vidoni, e che dovrà presto affrontare con i sindacati. Ma la 'questione amministrativa', anche se il programma di governo l'aveva annunciata come irrinunciabile, e il Dpef appena presentato la rimette in agenda, non è affare da poco. Anzi, si profila come un vero rompicapo, dove si scontrano forze opposte e contrarie. Come la mettiamo, per esempio, con lo spacchettamento dei ministeri deciso da Romano Prodi per tacitare le richieste di tutti gli alleati? "Il frutto avvelenato della nuova legge elettorale", lo definisce Luisa Torchia, docente di diritto amministrativo: "Per tenere insieme le ali estreme si deve ricorrere a una struttura di governo che crea sovrapposizioni di funzioni". Cioè moltiplicazioni di posti e poltrone, proprio il contrario di quanto i grandi padri della riforma della pubblica amministrazione, da Massimo Severo Giannini a Sabino Cassese, hanno sempre predicato. E, ancora, come la mettiamo con la richiesta di 'regolarizzare' i 300 mila precari che lavorano nelle pieghe dell'amministrazione già recapitata dai sindacati al governo? Un bell'impiccio, che non fa altro che perpetuare un vecchio vizio: quello di usare lo Stato come datore di lavoro di ultima istanza, e l'impiego pubblico come rimedio sociale.

Ma stavolta la grande riforma della pubblica amministrazione s'ha da fare, anche perché non si possono tagliare le spese senza affrontare questo capo di Buona Speranza. Ed ecco spuntare l'idea dei prepensionamenti. Non del tutto inedita, perché all'inizio degli anni Settanta lo 'scivolo' dei dirigenti fu sperimentato con successo, eppure resta una ricetta dirompente, visto che in questo caso si prospetta una vera 'buonuscita' che potrebbe, per esempio, consistere in due anni di stipendio.

Come evitare che, aprendo le porte, se ne vadano i migliori e restino a scaldare le sedie quelli che non servono?, si chiedono gli scettici. Rispetto ai grandi esodi sperimentati alle Poste, o nelle banche, qui tutto si gioca su un aggettivo chiave: 'selettiva'. Cioè che tenga conto della produttività, della professionalità, della distribuzione delle forze negli uffici e sul territorio. Insomma che faccia tesoro di un'operazione di razionalizzazione. Un'utopia?

Se qualche riserva è lecita, gli ultimi dati della Ragioneria raccontano di una situazione al limite, dove la mobilità è bloccata, molti uffici del Nord sono sguarniti e quelli del Sud rigurgitano dipendenti, le competenze necessarie fanno a pugni con la qualità reale del capitale umano. Una situazione a cui gli anni del governo Berlusconi non hanno trovato alcun rimedio se non quello dei consulenti esterni (con un costo stimato di 2 miliardi di euro nel 2004) e dell'aumento del numero dei direttori generali , e anzi hanno peggiorato i vecchi vizi.
Innazitutto quello della bolla del precariato e dell'ingresso nella P. A. senza concorso. Il blocco delle assunzioni deciso dal governo, infatti, ha prodotto uno strano effetto: ha ridotto nel complesso i dipendenti a tempo indeterminato di 29 mila unità tra il 2004 e il 2001, ma soprattutto a scapito dei ministeri (meno 11.700) e della scuola (meno 12.800); le uniche deroghe sono invece servite a ingrassare le file dei corpi di polizia (più 3.700), delle Forze armate (più 7.600) e un poco anche della magistratura (più 800). Quella che non è arretrata di un metro è la legione dei dipendenti con contratto flessibile (a tempo determinato, formazione lavoro, interinale): erano 151 mila nel 2001, nel 2004 sono saliti a 157 mila, con uno zoccolo duro nei ranghi delle Regioni (82 mila) e una crescita vertiginosa nelle università (da 13 mila a 26 mila). Molti sono lì da sette, otto anni, e per 7 mila di loro, i più fortunati, si stanno per aprire le porte della stabilizzazione attraverso un concorso a titoli. Se almeno questo fosse un modo per svecchiare la pubblica amministrazione, passi. Ma in realtà l'età di chi entra è altina (35 anni), e non fa che tenere alta l'età media del travet, 46 anni, il più grigio d'Europa. Con una concentrazione di over 55 tra i dirigenti che fa impressione. I dati ufficiali dicono che nel 2006 i dirigenti tra i 55 e i 67 anni sono il 63 per cento del totale. Andando avanti con gli anni la situazione non migliora: nel 2011 gli over 55 saranno il 67 per cento. Si dovrà aspettare il 2015 e il 2020 per vedere il loro esodo massiccio, compiuti i 67 anni di età. Un fenomeno peggiorato dal fatto che una legge dell'anno scorso ha consentito ai dirigenti di 67 anni di restare in servizio fino a 70.

Forse è stato proprio questo fenomeno che ha spinto l'economista e deputato diessino Nicola Rossi a fare per primo una provocazione sullo sfoltimento forzato della pubblica amministrazione: via gli anziani, dentro i giovani, che costano meno. Fatto sta, che un prima decisione in questo senso è stata subito presa: la legge del rinvio a 70 anni è stata subito bloccata dal governo Prodi e non potrà essere più utilizzata.

Nel dossier allo studio a palazzo Vidoni ci potrebbe essere qualche novità anche sul fronte assunzioni e selezione delle nuove leve del personale. Per esempio, un salario di ingresso per tre anni riservato ai giovani che abbiano conseguito una laurea specifica sulla pubblica amministrazione.

Se le ricette volano alto, nell'immediato la gestione dell'esistente appare però molto prosaica. La gestione Berlusconi non ha moltiplicato i ministeri (tranne la creazione di quello delle Comunicazioni dalla costola delle Attività produttive), ma si è data da fare con il numero dei direttori generali. Nella tabella a pagina 61 si può vedere quante poltrone e dove si sono materializzate dal 2001 al 2005. I direttori generali erano 344 a inizio legislatura, sono diventati 429 alla fine, con un record di 25 in più a Palazzo Chigi, di 21 ai Trasporti e 19 ai Beni Culturali. Il governo non è stato da meno. Con lo 'spacchettamento' e la creazione dei nuovi dicasteri si possono immaginare nuove poltrone di ragioneria, acquisti, personale. Senza contare l'effetto ancora non pienamente valutato che si potrà creare con la transumanza di pezzi di un ministero a un altro. Un solo esempio: il passaggio del Mezzogiorno dall'Economia alle Attività produttive, porterà con sé anche il livello di stipendio più alto. Con un effetto chiamato di 'galleggiamento'. E se gli altri non vorranno restare sott'acqua?

Uno su due non serve

La percentuale di tempo lavorato per il semplice 'funzionamento' in ogni ministero:

Ministero del Lavoro e Politiche Sociali 44,0%

Ministero dell'Istruzione, Università e Ricerca 46,1%

Ministero della Giustizia 51,5%

Ministero della Salute 37,4%

Ministero dell'Ambiente e del Territorio 55,1%

Ministero delle Attività Produttive 33,5%

Ministero delle Comunicazioni 40,7%

Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti 46,0%

Ministero delle Politiche Agricole e Forestali 41,3%

Ministero dell'Economia e delle Finanze 52,3%

Ministero dell'Interno 53,6%

Ministero per i Beni e le Attività Culturali 47,5%

Presidenza del Consiglio dei Ministri 50,0%

MEDIA 46,1%

Ministero degli Affari Esteri 32,8%

Ministero della Difesa 55,0%