di Sandro Magister
Parte della curia. Gli islamisti cari a Wojtyla. Sul discorso che ha infiammato il mondo musulmano spunta un'opposizione interna
Papa Ratzinger e l'ambasciatore del Kuwait
presso la Santa Sede
Della sua lezione all'università di Ratisbona, Benedetto XVI ha infine fornito, lunedì 9 ottobre, la stesura definitiva con tanto di note a piè di pagina, come aveva promesso. Ma questo non gli è bastato a conquistare la benevolenza del mondo islamico. E neppure la concordia in casa propria, dentro la Chiesa. Gli esperti dell'Islam che in Vaticano andavano per la maggiore quando regnava Giovanni Paolo II, e che papa Joseph Ratzinger ha esautorato, lo accusano d'aver "distrutto anni di fiducia e di apertura tra cristiani e musulmani". Molto critica è anche la vecchia guardia della curia, in testa i cardinali Achille Silvestrini e l'ex segretario di Stato Angelo Sodano.

Nel testo definitivo della lezione, la frase dell'imperatore bizantino Manuele II Paleologo che era costata al papa, citandola, le invettive dei musulmani che si dicevano offesi, è ora incorniciata da un distinguo più netto. Mentre inizialmente Benedetto XVI s'era limitato a definire "brusco" e "pesante" il modo con cui l'imperatore accusava Maometto d'aver portato di nuovo "soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava", ora il papa aggiunge l'inciso: "Brusco al punto da essere per noi inaccettabile". E in nota spiega: "Questa citazione, nel mondo musulmano, è stata presa purtroppo come espressione della mia posizione personale, suscitando così una comprensibile indignazione. Spero che il lettore del mio testo possa capire immediatamente che questa frase non esprime la mia valutazione personale di fronte al Corano, verso il quale ho il rispetto che è dovuto al libro sacro di una grande religione. Citando il testo dell'imperatore Manuele II intendevo unicamente evidenziare il rapporto essenziale tra fede e ragione. In questo punto sono d'accordo con Manuele II, senza però far mia la sua polemica".

Ma è entrata anche un'altra variante, nel testo definitivo della lezione papale. Citando il passo del Corano che ripudia la 'costrizione nelle cose di fede', Benedetto XVI aveva inizialmente scritto che tale passo appartiene alla fase iniziale della predicazione di Maometto, quando questi "era senza potere e minacciato"; dopo di che, in una seconda fase per lui vittoriosa, egli avrebbe invece esaltato e praticato la guerra santa. Da parte musulmana è stato obiettato al papa che questa sua cronologia del Corano era scorretta e offensiva in quanto faceva credere che la non violenza valesse per Maometto solo quando gli faceva comodo. Il primo a correggere Benedetto XVI, già poche ore dopo la lezione di Ratisbona, è stato l'italiano di origine algerina Khaled Fouad Allam, in un commento su 'la Repubblica' per il resto comprensivo delle ragioni del papa. Il secondo, molto più 'brusco' e 'pesante', è stato un teologo e filosofo arabo residente negli Emirati, Aref Ali Nayed, in un lungo saggio in inglese che è la più puntuale e ragionata confutazione sinora apparsa delle tesi di papa Ratzinger da parte di un musulmano esperto anche nella teologia e nella filosofia occidentali. Benedetto XVI ha tenuto conto delle loro obiezioni scrivendo, nel suo testo finale, che il passo del Corano che ripudia la violenza nel propagare la fede appartiene alla fase precaria di Maometto non con certezza ma solo "probabilmente" e secondo "una parte degli esperti".

Sta di fatto che dall'insieme del mondo islamico, escluse rarissime voci border line, sono arrivate a Benedetto XVI solo accuse. Il gesuita arabo Samir Khalil Samir ne ha fatta una rassegna nel sito del centro studi da lui diretto a Beirut e ha dedotto che la quasi totalità dei musulmani che si sono pronunciati contro il papa non hanno neppure letto il testo della lezione di Ratisbona. A giudizio di Samir, questa offensiva antipapale è stata organizzata artificiosamente allo stesso modo delle violente proteste di alcuni mesi prima contro le vignette antislamiche danesi. E l'Europa s'è mostrata anche questa volta "codarda".

Padre Samir è il gesuita islamologo che Benedetto XVI chiamò a introdurre il seminario di studio sul concetto di Dio nell'Islam da lui tenuto nel settembre del 2005 a Castel Gandolfo assieme a suoi ex allievi di teologia. Un altro gesuita islamologo, il tedesco Christian Troll, ebbe parte attiva in quel seminario. Ed entrambi sono tuttora gli esperti dell'Islam su cui Benedetto XVI più si appoggia, assieme al sacerdote libanese professore in Germania, Theodore Khoury, divenuto famoso perché curatore dell'edizione critica dei dialoghi di Manuele II Paleologo citati dal papa.
Ma non tutti gli esperti dell'Islam che gravitano attorno al Vaticano la pensano come questi tre. Aref Ali Nayed, che il Vaticano lo conosce bene per aver studiato anche alla Pontificia Università Gregoriana e tenuto lezioni al Pontificio Istituto di Studi Arabi e d'Islamistica, all'inizio della sua confutazione delle tesi di Ratzinger scrive senza mezzi termini che il papa farebbe bene a togliersi di torno Samir, Troll e Khoury, pregiudizialmente "ostili" all'Islam, e a chieder lumi piuttosto a orientalisti cattolici più ben disposti, tra i quali cita il patriarca di Gerusalemme Michel Sabbah, filopalestinese acceso, e un altro gesuita islamologo, il canadese Thomas Michel, spesso invitato a tener lezioni su cattedre prestigiose nei paesi arabi, in Iran, in Indonesia, in Turchia.

Nayed lamenta anche che papa Ratzinger abbia rimosso da presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso l'arcivescovo Michael L. Fitzgerald. E in effetti Fitzgerald e Michel, anche lui esautorato, erano stati negli anni d'oro di Giovanni Paolo II i due massimi titolari della questione musulmana, in Vaticano. Erano loro a controllare riga per riga, prima che fossero pronunciati, i discorsi di papa Karol Wojtyla che riguardavano l'Islam. "Quando trovavo delle frasi che mi sembravano offensive, lo facevo notare al papa e lui sempre le cancellava dal testo", ha detto padre Michel lo scorso 25 settembre in diretta radiofonica a una vasta platea di musulmani.

Quello stesso giorno, Benedetto XVI era impegnato a spiegare a decine di ambasciatori di paesi islamici, convocati a Castel Gandolfo, il "senso vero" della sua lezione di Ratisbona. Padre Michel, invece, stava parlando su www.islamonline.net, sito ed emittente multilingue del famoso sceicco Yusuf Qaradawi: l'opinion maker più ascoltato del mondo arabo, star della tv Al Jazeera, ideologo dei Fratelli Musulmani, esaltatore del 'martirio' degli uomini bomba. Nella sua lunga diretta on line padre Michel ha sostenuto che Benedetto XVI a Ratisbona "non è stato saggio" e che se proprio voleva citare un esempio di violenza associata alla religione doveva "prenderlo dalla nostra storia piuttosto che da quella degli altri: avrebbe potuto usare le Crociate".

Padre Michel ha inoltre detto che il "rammarico" espresso da Benedetto XVI è una "autogiustificazione" che non può essere accettata, perché i musulmani "hanno ragione a esigere una precisa, diretta richiesta di scuse". Intanto c'è solo da "sperare che le parole del papa non diano alimento ad altra violenza". Benedetto XVI non ha fatto vedere a nessuno in anticipo il suo testo perché se avesse avuto "migliori consiglieri glielo avrebbero detto" che sbagliava. Una volta distribuito il testo a Ratisbona, ad alcuni "vicini al papa" non è rimasto che "dire ai giornalisti, a condizione di restare anonimi, che essi avevano delle riserve".

Con toni più moderati, ha espresso analoghe critiche a Benedetto XVI anche un altro gesuita islamologo con un piede in Vaticano, l'americano Daniel Madigan, professore alla Pontificia Università Gregoriana e rettore dell'Istituto per lo Studio delle Religioni e delle Culture. Neppure dall'orbe cattolico è venuto a Benedetto XVI un gran sostegno, nei giorni della bufera. Ma se nei paesi musulmani le reticenze sono comprensibili, le riserve e il silenzio delle libere Chiese dell'Occidente, con l'unica forte eccezione dei vescovi italiani, sono ciò che più hanno addolorato papa Ratzinger.

Ma lo hanno anche convinto ancor più d'aver detto quello che doveva essere detto. Il 6 ottobre, in un'omelia, ha citato la prima lettera dell'apostolo Pietro: "L'obbedienza alla verità deve rendere caste le nostre anime". E ha spiegato: "Parlare in obbedienza alla dittatura delle opinioni comuni è prostituzione della parola e dell'anima. La 'castità' a cui allude l'apostolo Pietro è non sottomettersi a questi standard, non cercare gli applausi, ma cercare l'obbedienza alla verità".