di Marco Damilano
Caffarra il duro. Forte il teologo. Scola il ciellino. Sono tre i vescovi in lizza per la successione di Ruini alla Cei. In un libro su Chiesa e politica l'identikit dei candidati
Il cardinale Camillo Ruini
Con il convegno di Verona della settimana prossima, il più importante appuntamento del decennio della Chiesa italiana, gli stati generali del mondo cattolico, si chiude la lunga leadership del cardinale Camillo Ruini, durata più di vent'anni, dal 1985 a oggi. Al rapporto tra la Chiesa e la politica è dedicato il libro di Marco Damilano 'Il Partito di Dio', edito da Einaudi, in uscita in questi giorni: l'ultimo capitolo si occupa dei possibili successori di Ruini. Eccone qui di seguito uno stralcio.

Il ratzingeriano di destra si sente talmente simile all'originale che saluta la folla come papa Benedetto, braccia alzate e mani che si toccano. "Uno strenuo difensore della ragione contro i tanti maestri del dubbio", così i ciellini definiscono l'arcivescovo di Bologna Carlo Caffarra. Di dubbi, in effetti, ne semina pochi. Teologo morale, nel 1995, appena nominato vescovo di Ferrara, monsignor Caffarra promosse una campagna di ascolto della città, con le categorie e i professionisti. Più che un dialogo, era un monologo: il suo. Quando arrivò il turno degli avvocati il prelato si esibì nel suo pezzo forte. "Sapete cosa distingue gli uomini dagli animali?", chiese alla platea. "Risposta: il matrimonio indissolubile". Temperatura polare in sala: i principi del foro, dediti pressoché esclusivamente a separazioni e divorzi e divorziati anch'essi, non la presero bene.

Ma il cardinale Caffarra non si preoccupa delle reazioni che provocano le sue parole. Non ha l'arguzia e la simpatia umana del predecessore Biffi: il suo esordio mediatico, alla fine degli anni Ottanta, quando era direttore dell'Istituto Giovanni Paolo II sulla famiglia, fu l'equiparazione della pillola e del preservativo all'omicidio. Da quando si è trasferito a San Petronio, all'inizio del 2004, si è dato una calmata. Vanta un sito personale (www.caffarra.it) che raccoglie tutti i suoi interventi, omelie e articoli dal 1976 a oggi, e che dimostra una notevole dose di autostima, oltre che una produzione sconfinata. E si è più volte incontrato con il fedele più importante della diocesi, Romano Prodi, conosciuto per caso nella clinica Toniolo dove era ricoverato. Al Professore piace "il rigore del rispetto dei ruoli e la schiettezza", dimostrata in effetti alle elezioni del 2006 quando il cardinale ha invitato i parroci a restare fuori dalla competizione politica. Ratzingeriano e giussaniano, la sua nomina alla presidenza della Cei sarebbe la garanzia di una Chiesa più inflessibile sui principî e più lontana dalla politica.

La sinistra ratzingeriana è rappresentata nell'episcopato italiano dal vescovo di Chieti-Vasto, diocesi abruzzese ottimo trampolino di lancio per future carriere. Un nome prestigioso: il cinquantasettenne monsignor Bruno Forte, uno dei (pochi) teologi italiani tradotti a livello internazionale. Nato a Napoli, studi a Parigi e a Tubinga, dove insegnò il professor Joseph Ratzinger, parla correttamente inglese, francese, spagnolo e tedesco. Ha diviso le sue opere in tre gruppi che riflettono le tre virtù teologali: Simbolica della fede, Dialogica dell'amore, Poetica della speranza. Qualcuno l'ha paragonata alla Summa di Tommaso d'Aquino. È stato preside della facoltà teologica dell'Italia meridionale, con sede a Napoli e affidata alla Compagnia di Gesù, dove alloggiava e pernottava il cardinale Martini in visita nel capoluogo partenopeo. Martini era presente anche alla consacrazione episcopale di Forte, l'8 settembre 2004: ma ad imporgli le mani fu il cardinale Ratzinger, inviato personalmente da papa Wojtyla.

Giovanni Paolo II ne ha seguito tutta l'ascesa. Prima nel Pontificio consiglio della cultura retto dal cardinale francese Paul Poupard, poi nella Commissione teologica internazionale che agiva sotto il controllo della Congregazione per la dottrina della fede presieduta da Ratzinger. Nel 1999 monsignor Forte fu tra i principali estensori del documento 'Memoria e riconciliazione', la riflessione vaticana più avanzata sull'atteggiamento dei cristiani rispetto al nazismo e sullo sterminio del popolo ebraico. Un documento che anticipava il mea culpa e il processo di "purificazione della memoria" lanciato da papa Wojtyla durante il Giubileo del 2000. Il papa polacco aveva letto alcuni libri del teologo napoletano e gli affidò l'incarico di predicare gli esercizi spirituali alla curia durante la Quaresima 2004.
Oratore affascinante, intelligenza acuta, amante della poesia e poeta lui stesso, attualmente monsignor Bruno Forte è presidente della Commissione per la dottrina della fede della Cei. Per lui potrebbe esserci un giorno la diocesi di Milano, dopo Tettamanzi, come successore ideale del cardinale Martini nel dialogo con i non credenti e con gli intellettuali laici, quelli non ancora arruolati nelle schiere dei devoti. Nell'ottobre 2005, per esempio, si è confrontato a Milano con il filosofo della scienza Giulio Giorello, citando Roberto Benigni e il film 'La vita è bella': "Un gruppo di sacerdoti della diocesi di Firenze gli ha chiesto: 'Ma tu a Dio ci credi o no?' 'Ci sono io, volete che non ci sia Lui?' Ritengo che questo sia l'umile approccio a quella bellezza che salva il mondo, ultima e sovrana, la bellezza di Dio". Un vescovo-teologo, aperto alle novità: un po' Ratzinger un po' Martini.

L'uomo che dopo il convegno di Verona potrebbe rafforzare il suo ruolo in vista della successione a Ruini è il patriarca di Venezia Angelo Scola. Il favorito, almeno a giudicare dalla mole di malignità che si sono abbattute sulla sua persona negli ultimi tempi. Era il discepolo prediletto di don Giussani, che pensava di affidargli la guida del movimento, ma a un certo punto entrò in contrasto con il maestro. Un episodio doloroso, raccontato con tutte le prudenze necessarie da Massimo Camisasca nella sua storia di Comunione e liberazione. Nel 1973 Scola era la guida degli universitari di Cl, quando don Giussani decise di riportarli all'ordine. "C'è stata la fuga in avanti di un gruppetto di leader", disse il fondatore, pronunciando una sentenza terribile: "Il gruppo universitario di Cl è una grande fioritura, le cui radici si sono inaridite". Insomma, Giussani non aveva per niente gradito l'attivismo del giovane allievo. "Scola tra il 1973 e il 1974 si ammalò. Don Giussani allora riprese in mano il movimento", scrive Camisasca. Traducono i testimoni di quella vicenda: don Scola fu allontanato e cadde in depressione.

Un dramma per lui che è un frutto di Cl, al pari di Formigoni con cui è cresciuto a Lecco. Padre camionista e socialista ("Mi fece studiare perché 'Unità' e 'Avanti' raccomandavano di mandare i figli a scuola", racconta nelle interviste), un amore giovanile con la coetanea Pinuccia che poi si fece suora, era l'uomo delle pubbliche relazioni del movimento. Si aggirava in jeans e maglione nella sede di via Pagliano a Milano: "Devo smaltire il guardaroba di gioventù, con i prezzi che corrono non si può scialare". Anche oggi sa utilizzare bene la comunicazione: è il primo cardinale ad aver affidato i suoi rapporti con la stampa a una donna, Maria Laura Conte.

L'origine ciellina rischia di essere un handicap, ora che si tratta di guidare l'intero episcopato. "Sono il vescovo di tutti", ripete Scola. Tra i punti a favore, i solidi rapporti internazionali, anche con gli Stati Uniti: nel 2005 don Lorenzo Albacete, teologo e commentatore tv, ne presentò l'opera nella chiesa Holy Family davanti al palazzo di vetro dell'Onu a New York. "È stato Scola a presentarmi a Giussani", raccontò in quell'occasione don Albacete esaltando il patriarca, già considerato papabile nel conclave che doveva scegliere il successore di Karol Wojtyla. Alla catechesi di fronte ai giovani riuniti a Colonia per la Giornata mondiale, nell'estate 2005, ha citato 'On the Road' di Kerouac: "Il vostro viaggio è consapevole o un vagabondare senza meta?". Tra gli autori preferiti ci sono T. S. Eliot e Pavese, un vezzo appreso alla scuola di don Giussani. Anche se, quando serve, non esita a usare tinte forti: "L'Occidente ha uno stile di vita osceno", accusò al Meeting di Rimini dell'estate 2003. Un ratzingeriano centrista, che vuole contare nella Chiesa dei prossimi dieci anni.

Il cardinale trova casa

L'appartamento è quasi ultimato. All'interno del Pontificio seminario minore, in viale Vaticano, appena fuori dalle sacre mura, all'ombra del Cupolone. È lì che in tutta probabilità si trasferirà il cardinale Camillo Ruini dopo aver lasciato il doppio incarico: vicario del papa per la diocesi di Roma e presidente della Cei. Un avvicendamento che potrebbe scattare tra la fine dell'anno, alla vigilia di Natale, e l'inizio del 2007. Di certo la nuova abitazione sarà pronta per febbraio, quando Ruini sarà prossimo a compiere 76 anni. E di certo, anche, non rappresenterà un pensionamento. A differenza del segretario di Stato Sodano, il Vicario ha ottenuto di andarsene in modo soft, con tempi e modi stabiliti da lui. E dalla casa di viale Vaticano continuerà a consigliare e incidere sul pontificato di papa Ratzinger. In riserva, come si dice.