di Vittorio Malagutti
Il Billionaire. L'alta moda. I farmaci. Tutto controllato attraverso società off shore. Fino alle Isole Vergini. Ecco come il re della F1 riesce a dribblare il fisco italiano
Flavio Briatore
Gli invidiosi e i nemici raccontano che Flavio Briatore usa le donne come addobbo a una vita da vanesio. In effetti ne trova tante. E le cambia spesso. Bellezze da copertina come Naomi Campbell, oppure la stellina televisiva Elisabetta Gregoraci, per citare due nomi fra i tanti che danno lustro a una lunga e onorata carriera da playboy. Da anni però, perfino un tipo incostante come Briatore si è rassegnato a fare coppia fissa con una signora quarantenne, Mariapia Arizzi. Questione di soldi, questa volta. Anzi, di soldi off shore. Quelli delle società finanziarie che tirano le fila del piccolo impero del manager italiano, gran capo del team Renault di Formula 1, fresco reduce dal successo nel campionato del Mondo con il pilota spagnolo Fernando Alonso.

E allora, una volta tanto, niente gossip con il contorno di feste e superyacht. Il nome di Mariapia Arizzi non è mai finito sulle riviste specializzate in vipperia varia che narrano le gesta dell'inventore del Billionaire. Ma chi conosce le carte segrete di Briatore sa che questa professionista di origini italiane, residente non lontano da Ginevra, in Svizzera, monta la guardia agli snodi chiave di un dedalo finanziario esteso in mezzo mondo, dalle British Virgin Islands a Hong Kong, passando per l'Olanda e il Lussemburgo.

In tanti anni di fortunata attività da imprenditore, l'ex fidanzato della bellissima Naomi Campbell sembra aver sviluppato una certa allergia al Fisco. Non soltanto al Fisco italiano, che in una recente apparizione televisiva (Raitre, domenica 15 ottobre, intervistato da Lucia Annunziata) ha definito "soffocante e penalizzante", incassando i rimbrotti del ministro allo Sviluppo, Pierluigi Bersani. Il fatto è che, come confermano una gran mole di carte e documenti che 'L'espresso' ha potuto consultare, tutte le iniziative targate Briatore rimandano in un modo o nell'altro a indirizzi off shore. Luoghi variamente esotici dove le tasse non esistono ed è semplice nascondere la reale titolarità delle aziende.

Partiamo dall'Italia, dalle discoteche Billionaire (Costa Smeralda) e Twiga (Versilia). Due nomi che col tempo, grazie anche a un'abile campagna di marketing, sono diventati marchi di fabbrica del lusso estremo, del divertimento esagerato, dello champagne a 500 euro la bottiglia. Non per niente il deputato comunista-rigorista-moralista Oliviero Diliberto ha dichiarato in tv (a Daria Bignardi, La7, venerdì 20 ottobre), che li farebbe saltare in aria (solo il Billionaire, per la verità). L'esercito dei 'Flavio's friends' la pensa diversamente. E così, tra gli azionisti di minoranza dei due locali alla moda troviamo una folta rappresentanza di soci sostenitori: la deputata di An Daniela Santanchè, il giornalista-intrattenitore tv Paolo Brosio, e poi Lele Mora, manager di stelle, stelline o aspiranti tali dello spettacolo, e l'ex allenatore della nazionale di calcio Marcello Lippi. La quota di maggioranza, quella di Briatore, risulta invece intestata alla finanziaria lussemburghese Laridel participations, amministrata da Mariapia Arizzi. Qualche mese fa è andato in scena un curioso cambio della guardia. Da principio la cassaforte si chiamava sempre Laridel participations, ma aveva sede a Bruxelles. A maggio la holding belga ha lasciato il posto alla sua omonima lussemburghese, che ha comprato tutte le controllate italiane dal Billionaire al Twiga. In altre parole, forse per motivi fiscali, Briatore ha trasferito da una tasca all'altra il controllo di una parte del suo gruppo. Con la fidata Arizzi a dirigere il traffico. Alla stessa consulente italosvizzera fa riferimento anche una holding olandese dal nome impronunciabile, Beleggingsmaatschapij Hawol. Scioglilingua a parte, si scopre che questa società di Amsterdam possiede, attraverso un'altra finanziaria italiana, il 30 per cento dell'azienda farmaceutica Pierrel. Chi c'è dietro? Briatore naturalmente, che, via Olanda, ha dato una mano a Canio Mazzaro, marito della sua amica Santanchè, nonché socio di maggioranza della Pierrel.
Tutti contenti allora. Mazzaro trova un partner. E il patron del Billionaire risparmia sulle tasse. Capriole all'italiana? Espedienti per sfuggire a un fisco rapace? Pare di no, perché, a ben guardare, lo stesso copione è andato in scena più volte anche all'estero. Non è una sorpresa. Il manager partito più di vent'anni fa dalla natia Verzuolo, provincia di Cuneo, si è fatto la fama dell'uomo di mondo. L'Italia, da sempre, gli va stretta. Fin da quando, negli anni Ottanta, Luciano Benetton, che fu il primo ad apprezzarne il talento, spedì Briatore ai Caraibi e poi negli Usa per seguire gli affari del gruppo di Ponzano. Altre fonti, in verità, raccontano che il gran salto oltre Atlantico serviva a mettersi alle spalle una brutta storia di bische clandestine, con tanto di condanna penale, poi amnistiata.

"Errori di gioventù", commenta adesso il manager globetrotter. Che ama parlare di sé come un emigrante. Un emigrante di lusso, ovviamente, con residenza a Londra in un quartiere al top dell'eleganza. L'Inghilterra, dice lui, è il Paese ideale per chi investe e produce. Perché da quelle parti l'aliquota massima non supera il 30 per cento. Altroché Italia, che arriva a succhiare quasi la metà del reddito prodotto da un imprenditore. Parole forti, confermate anche nella recente intervista televisiva trasmessa da Raitre. Passando ai fatti si scopre che anche lontano da Roma il manager piemontese ha scelto di indossare una solida corazza antitasse. Prendiamo l'iniziativa più recente, che sfrutta un marchio ormai famoso come Billionaire per farne una sorta di griffe d'alta moda. Qualche mese fa, è nata così Billionaire Couture, con tanto di vetrina di rappresentanza a Londra, in Draycott avenue, definita da chi se ne intende una "via di tendenza". Anche il negozio ambirebbe a fare tendenza tra la gente che può permetterselo. In catalogo potete trovare il blazer con bottoni in oro zecchino (10 mila euro), il jeans confezionato in scatola di cedro con deumidificatore (lo ammorbidisce dopo il lavaggio in lavatrice) per 1.800 euro o le scarpe su misura con sigillo in ceralacca da 5 mila euro. Tutte cosucce in linea con il Briatore style: non basta il lusso, bisogna stupire, uscire dagli schemi. Fino a un certo punto, però. Perché gli affari sono affari e allora conviene tornare ai vecchi e collaudati sistemi.

Sarà un caso, ma la holding di controllo della britannica Billionaire Couture limited, non si trova nell'accogliente Inghilterra dal fisco leggero, ma nell'ancora più ospitale Lussemburgo, dove nel 2005 è stata costituita la Billionaire sa. Alla presidenza, ma non è una sorpresa, troviamo Mariapia Arizzi, la consulente preferita di Briatore. L'incarico di revisore dei conti è stato invece affidato alla BCCB, sigla, in verità, sconosciuta ai più, anche tra gli addetti ai lavori della finanza. Un motivo c'è. La BCCB ha sede nell'isola Ajeltake, che fa parte dell'arcipelago delle Marshall, staterello sperduto nel bel mezzo dell'Oceano Pacifico. Indirizzo esotico, non c'è che dire, ma il centro di tutto resta nella vecchia Europa. In Olanda nel maggio scorso è nata un'altra Billionaire Couture, l'ultima della serie. Chi la dirige? Mariapia Arizzi, ancora lei. Non è finita qui, perché la società olandese controlla una Billionaire logistics di Milano, anche questa presieduta dall'attivissima Arizzi. Risalendo la catena di controllo dall'Italia verso l'Olanda si arriva nientemeno che a Hong Kong, sede della Billionaire Couture International. Il capolinea nel Far East non sembra una scelta casuale, visto che l'ex colonia britannica garantisce tasse ridotte e procedure snelle alle società finanziarie e commerciali. Quello che ci vuole per la moda targata Briatore, da pochi giorni sbarcato anche a Tokyo con una nuova boutique, ovviamente superesclusiva. È solo l'inizio. Da qui al 2008 il paese del Sol Levante dovrebbe ospitare almeno 28 punti vendita con il marchio Billionaire. Senza contare i nuovi negozi da aprire nella Vecchia Europa. Un programma ambizioso per un neofita del fashion. Ma il manager playboy, che non esclude di mettersi in politica in un prossimo futuro, per il momento resta legato alla sua vecchia passione: i motori (oltre alle donne, naturalmente). Il recente successo in Formula 1 ha consacrato la sua fama di scopritore di talenti. Prima Michael Schumacher, anche lui due volte campione del mondo (1993 e 1994) con la scuderia Benetton, a quei tempi gestita da Briatore. E adesso tocca allo spagnolo Alonso, che ha bissato il successo della scorsa stagione. Una carriera formidabile. Ma il gran capo del team Renault non si accontenta di vincere in pista e neppure del lauto stipendio che gli passa il gruppo automobilistico francese. Tra sponsorizzazioni e diritti tv, il rutilante mondo delle corse automobilistiche può diventare una macchina da soldi formidabile. E Briatore non è certo il tipo da lasciarsi sfuggire una simile occasione. Il suo vascello corsaro, tanto per cambiare, batte bandiera di un paradiso off shore. Questa volta si approda ai Caraibi. Per la precisione alle British Virgin Islands, dove ha sede la società Formula FB business, a cui fa capo un'altra sigla londinese, la Stacourt ltd. Quest'ultima, gestita dal francese Bruno Michel, ha fatto soldi a palate vendendo in Spagna i diritti tv della Formula 1. Quando si dice la fortuna. Fino a pochi anni fa i gran premi erano seguiti da poche migliaia di spagnoli. Poi è arrivato Alonso ed è esplosa la passione. Domenica 22 ottobre, la diretta dal Brasile dell'ultima gara del campionato del Mondo ha quasi rubato la scena al derby calcistico tra Real Madrid e Barcellona. Briatore festeggia tre volte. Vince la Renault. Vince il suo pupillo Alonso. E vince anche la sua Stacourt, che moltiplica i guadagni. Una parte dei profitti prendono il volo verso le British Virgin Islands. In base all'ultimo bilancio disponibile, quello del 2004, la Stacourt ha versato circa 1,5 milioni di sterline, oltre 2 milioni di euro, alla Formula FB business.

Briatore però non ha fatto tutto da solo. Per sfondare a Madrid si è assicurato la preziosa collaborazione di Alejandro Agag, un manager quarantenne che all'occorrenza può sfoderare un'optional d'eccezione: è il genero dell'ex premier iberico José Maria Aznar. L'esclusiva dei gran premi, invece, se l'è assicurata Telecinco, controllata dalla Mediaset di Silvio Berlusconi. A questo punto il cerchio si chiude. Agag, Aznar, Berlusconi, tutti amici di Briatore, tutti in affari con Briatore. Mica male per un playboy.

E ora in pista con Kovalainen

L'Alonso del futuro? Heikki Kovalainen, pronosticano, a migliaia, gli intenditori di Formula 1. Ci crede la Renault, che per la prossima stagione ha affidato al giovane pilota finlandese, solo 25 anni, il posto di seconda guida nella scuderia capitanata dall'italiano Giancarlo Fisichella. Ma a scommettere su Kovalainen è soprattutto Flavio Briatore, che ha rinnovato fino al 2008 il contratto con il team francese.

Il manager italiano si è fatto la fama dello scopritore di talenti. Da ultimo lo spagnolo Fernando Alonso, da poco laureatosi campione del Mondo per la seconda volta consecutiva. Ma prima di lui Briatore aveva accompagnato al successo Michael Schumacher, ai tempi del team Benetton, e poi l'inglese Jenson Button e lo stesso Fisichella. Adesso tocca a Kovalainen, ultimo talento di una dinastia di campioni made in Finlandia. Keke Rosberg, campione del Mondo 1982, Mika Hakkinen, e infine Kimi Raikkonen, dall'anno prossimo alla Ferrari al posto di Schumacher.

Kovalainen si è fatto le ossa nei kart per poi passare alla Formula Tre nel 2002. I successi nelle serie minori (tra cui il secondo posto nel 2005 al Mondiale Gp2) gli hanno aperto le porte del Renault team e soprattutto gli hanno permesso di conquistare la fiducia di Briatore che è diventato il suo manager personale.

Le vittorie di Alonso hanno fruttato milioni e milioni di euro tra sponsor (la spagnola Telefonica su tutti) e nuovi contratti televisivi. Con Kovalainen sarà difficile ripetersi. La Finlandia è un piccolo paese con un solo grande investitore pubblicitario: la Nokia, il colosso dei telefonini.