di Goffredo Fofi

 

 

Presentando nel 1953 ai lettori Il sergente nella neve, il racconto-testimonianza di un reduce dalla sciaguratissima campagna di Russia, Elio Vittorini scrisse in uno dei suoi famosi risvolti per la collana dei Gettoni einaudiani in cui esordirono tanti grandi scrittori, che si trattava di un'opera certamente importante, ma che il suo autore Mario Rigoni Stern non sarebbe andato oltre questo libro, che insomma egli non era un vero scrittore.

Fu una delle sue sviste più clamorose, perché Rigoni Stern era un vero scrittore, il suo libro non era affatto un semplice "caso" ed egli lo avrebbe dimostrato nel corso di un cinquantennio. Nel 1962 si ripresentò al pubblico con i racconti di Il bosco degli urogalli, cui fecero seguito molte opere di narrazione e di memoria, legate tra loro dalla stessa ispirazione, riconoscibilissima e unica.
Nato sull'Altopiano di Asiago nel 1921, Mario Rigoni Stern non ha mai distinto veramente nella sua opera tra racconto e analisi, tra narrazione e investigazione. Ogni suo intervento è stato fedele alla stessa ispirazione, la denuncia del disastro di due guerre mondiali attraverso le vicende di molti personaggi comuni (presi dal vero) il cui destino è stato segnato da quelle rotture, in genere gente dell'Altopiano, ed è stato fedele a un ambiente naturale e non solo sociale, dedicando alla flora e alla fauna dell'Altopiano racconti, evocazioni, descrizioni e anche denunce in modo sempre più assiduo e più convinto, in una lingua sempre più essenziale e pura.
Prodotto di un ambiente e di una storia, non ne è voluto mai uscire, sempre mantenendo un suo ostinato pudore, e con risultati tanto più alti quanto più esigente era la loro motivazione, la loro necessità. Ha narrato la guerra in Quota Albania, in Ritorno sul Don e in tanti racconti, e nel suo libro forse più austero e commosso dopo Il sergente, la Storia di Tönle (1978) che aveva al centro il bellissimo personaggio di un montanaro solitario al tempo della Grande Guerra. Ma ha narrato con la stessa intensità, anche se ora in modi non drammatici e anzi spesso sereni e rasserenanti, la natura - gli animali e le piante, e le opere e i giorni dell'Altopiano.
I suoi libri e articoli sugli animali e sulle piante sono stati dettati da una conoscenza diretta e da un rapporto continuativo con la natura, che passava però attraverso la vita degli uomini, i modi in cui gli uomini hanno interagito con le piante e con gli animali. Con questi ultimi, anche attraverso la mediazione e l'esperienza diretta della caccia. Molte pagine del Rigoni Stern cacciatore non sfigurano affatto se confrontate a quelle di altri grandi scrittori, anzitutto i russi con Turgenev in testa, e naturalmente si trattava per lo scrittore veneto di un modo d'intendere la caccia nel quadro di una cultura (e di una necessità) che nulla hanno a che fare con quelli di oggi, che egli per primo detestava.
Uomini, boschi e api, Il libro degli animali, L'Arboreto selvatico sono ricchissimi di ricordi, d'incontri, di vicende, di situazioni che hanno al loro centro un rapporto antico con la natura, avvilito o distrutto dalla modernità. Di questo Rigoni Stern ha molto sofferto, ma ha anche reagito molto, lottando contro i modi in cui l'uomo ha voluto intervenire sulla natura in nome di un progresso ottusamente distruttivo. La vita armonica dell'Altopiano, le guerre vissute dalla sua gente sull'Altopiano stesso o sui fronti delle aggressive guerre fasciste sono diventati grazie a Rigoni Stern un patrimonio dei lettori italiani ed europei, e se sono stati i piemontesi Primo Levi e Nuto Revelli gli autori che egli ha sentito più vicini, la sua cultura era vastissima, la sua curiosità inarrestabile e senza confini.
Il sergente nella neve è uno dei grandi libri della nostra storia e della nostra letteratura, e grazie a un suo amico, l'attore-narratore Marco Paolini, ha avuto ancora di recente una diffusione enorme presso un pubblico sempre nuovo, e presso giovani che attraverso il racconto della guerra hanno potuto apprezzare il valore e il significato della parola «pace».
Dopo la scomparsa di Meneghello, non troppo tempo fa, il Veneto, regione chiave nella storia italiana e della sua letteratura, regione oggi alla ricerca tra molti sbandamenti di una nuova e difficile identità, ha perduto un altro dei suoi massimi personaggi, anche se, per fortuna del Veneto e dell'Italia, sono ben presenti con le loro poesie e le loro battaglie civili due grandi come Andrea Zanzotto e Fernando Bandini, suoi amici.

 

 

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