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ATTUALITÀ E CRONACA
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Nella lugubre contabilità della guerra ancora una volta tanti giornalisti
I "marines" della cronaca
Alto il numero di vittime immolate sull'altare del diritto all'informazione del villaggio globale

 

di Daniele Cervino

"Questa è la più grande cronaca del mondo in questo momento e gradirei essere presente". Cosi Peter Arnet, nel 1991, prima di andare a Baghdad come corrispondente di guerra, rispose al celebre anchorman Walter Cronkite che lo sconsigliava di partire. Incoscienza, ricerca del prestigio o eccellenza professionale?
La guerra è in corso, le bombe cadono dal cielo come pioggia infuocata, i palazzi bruciano, le sirene rompono il silenzio di Baghdad, e davanti a questo tragico spettacolo, tanti giornalisti. Dalle finestre di un albergo della città irachena o dal fronte, insieme alle truppe anglo-americane, in questi giorni di guerra, i giornalisti innalzano la loro bandiera, onorano la loro professione. Il rischio è alto. La paura si riflette negli occhi grandi e tristi di Giovanna Botteri, inviata del Tg3, quando un missile Tomahawak centra in pieno un palazzo di Saddam. Lo sgomento si intravede nella voce di Lilli Gruber quando commenta per il Tg1 questa tragica guerra dalla capitale irachena. Comprensibile. Molti i giornalisti italiani in prima linea. Tv pubblica e televisioni private, come i quotidiani, hanno inviato sul fronte bellico e nei Paesi confinanti i loro reporter. Le loro corrispondenze saranno utilizzate per i numerosi programmi sul conflitto, in onda in questi giorni, e per i quotidiani italiani. Tra i tanti rischi, armati di un piccolo kit di guerra, provvisti di elmetto, cellulare satellitare e di tanto coraggio, questi "marines" della cronaca rimangono a documentare i bombardamenti. "Per i giornalisti stare in prima linea - ha affermato il Ministro delle Comunicazioni, Maurizio Gasparri - è un grande rischio professionale: tutti sappiamo quanto la stampa abbia pagato in passato un prezzo di sangue fra giornalisti, operatori e fotografi". Un prezzo altissimo.
Come offuscare nell'oblio della memoria i tanti giornalisti e gli operatori vittime di guerra? Come dimenticare i giornalisti Almerigo Grilz, Marco Lucchetta, Ilaria Alpi, Antonio Russo e gli operatori Alessandro Ota, Dario D'angelo, Miran Hrovantin , Marcello Palmisano che per documentare gli orrori delle guerre hanno perso la vita? Sarebbe impossibile L'ultimo orrendo caso in cui un giornalista italiano ha pagato cara la propria orgogliosa passione, ci riporta al 19 Novembre 2001, quando sulla strada che collega Jalabad a Kabul, in Afghanistan, l'inviata del Corriere della Sera, Maria Grazia Cutuli, è vittima di un vile agguato assieme ad altri tre colleghi: l'inviato spagnolo del Mundo Julio Fuentes, l'australiano Harry Burton e l'afghano Azizullah Haidari, entrambi corrispondenti dell'agenzia di stampa "Reuters". Il suo direttore, Ferruccio De Bortoli, le aveva proposto dopo tante settimane in Afghanistan, di ritornare in Italia per il suo compleanno. Maria Grazia Cutuli rispose di no. "Volete farmi un regalo? - disse - Lasciatemi qui". Purtroppo, anche in questa nuova guerra si contano le prime vittime dell'informazione. E anche se "non c'è scoop che valga una vita", come ha sostenuto il direttore di via Solferino dopo la morte di Maria Grazia; anche dopo i tanti giornalisti che hanno pagato con il sangue l'orgoglio per la loro professione, oggi li ritroviamo li, in prima linea, in Iraq, a documentare quegli orrori. Li ritroviamo li, ogni giorno, attraverso immagini a volte offuscate di un teleschermo, attraverso le documentazioni di un pagina di un quotidiano. Incoscienza, ricerca del prestigio o eccellenza professionale? L'intraprendenza, la tenacia, lo spirito d'avventura, il coraggio. Queste le virtù che caratterizzano gli inviati di guerra. Una grande considerazione per la propria professione, per la verità, eccellenza professionale che è, in questi giornalisti, un grande principio morale. Rimangono li. Non per gioco, ma perché il giornalista non ha altro modo di raccontare la realtà circostante se non attraverso la propria esperienza personale, non ha altro modo di vedere le cose se non attraverso i propri occhi. Il vero giornalista vuole esserci. Sempre.

 

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