Attualità e Cronaca

'Ci attaccano e noi rispondiamo'. La crisi in Libano secondo l'analisi di un parlamentare Hezbollah Hussein al-Hajj Hasan è un deputato Hezbollah nel Parlamento libanese. Lo abbiamo intervistato.

Credete di aver fatto la cosa giusta quel 12 luglio?
"Vorrei prima di tutto ricordare che questa guerra l'ha voluta Israele. Sono loro che stanno portando distruzione".

Sì, ma anche voi sparate contro le città israeliane.
"È legittima difesa. Ci attaccano e noi rispondiamo. Ci hanno costretto ad agire così".

"Quanto è accaduto a partire dal 12 luglio non c'entra nulla con le questioni interne libanesi, perché i protagonisti sono altri. Come nel 1968, quando i palestinesi fecero un'azione contro Israele partendo dal Libano e la risposta fu la distruzione della nostra flotta aerea". Samir Frangié, cristiano-maronita e deputato indipendente, denuncia "il tentativo di farci tornare indietro ai tempi della guerra civile".

Dove vogliono portarvi?
"Ai tempi in cui le cose libanesi venivano decise da altri Paesi".

di Gigi Riva

Parla il ministro degli Esteri d'Israele: dietro agli Hezbollah ci sono l'Iran e la Siria. E assieme ad Hamas si sta creando un asse del terrore. Noi combattiamo una guerra che riguarda tutto l'Occidente

Tzipora Livni, ministro degli Esteri d'Israele
La voce di Tzipora Livni, detta 'Tzipi', s'incrina, leggermente, solo quando deve citare Ariel Sharon, il suo mentore. E non è un omaggio formale a un uomo che giace in coma da gennaio e si trova in un ospedale di Tel Aviv, ma la rivendicazione di una continuità politica utile a leggere quanto accade in questi giorni di guerra col Libano. La domanda era: lei è stata una delle persone più vicine all'ex premier, quanto le manca? Quanto avrebbe potuto essere utile in questa fase difficile? Sharon manca e non solo a Israele, ammette la Livni, prima di svelare: "Potrà suonare simbolico, ma nell'ultima riunione di lavoro che abbiamo avuto, proprio il giorno prima che fosse ricoverato, abbiamo discusso del nostro confine nord. A me e agli altri collaboratori ha detto: dovete chiedere con forza alla comunità internazionale di espellere gli Hezbollah dal sud del Libano, non possiamo sopportare questa situazione più a lungo. Ricordo con precisione quell'incontro proprio perché è stato l'ultimo. Abbiamo parlato della possibilità che rapissero civili o militari lungo la frontiera. Io ero ministro della Giustizia, allora".

di Gigi Riva
Dal disarmo dei terroristi. Alla presenza di una forza multinazionale. Le condizioni dell'ex premier israeliano colloquio con Ehud Barak
Ehud Barak
Non è pentito, anzi è 'orgoglioso' per aver fatto la cosa giusta decidendo, nel 2000, il ritiro di Israele dal sud del Libano. Così come oggi, se fosse al governo, avrebbe deciso di attaccare gli Hezbollah. Ehud Barak, 64 anni, primo ministro laburista d'Israele dal 17 maggio 1999 al 7 marzo 2001, mediatore a Camp David dove fallì, sotto la presidenza Clinton, la trattativa con Arafat, ha indissolubilmente legato il suo nome al Libano perché in quella terra si sono svolti due degli episodi fondamentali della sua vita pubblica: una da politico e l'abbiamo visto, l'altra da uomo d'azione. Travestito da donna, parrucca nera in testa, due granate nel reggiseno e pistola col silenziatore nella borsetta, guidò il commando che a Beirut assassinò tre dirigenti palestinesi considerati responsabili della strage di Monaco di Baviera. Ex generale, Barak è stato il protagonista di molte azioni dall'esito felice quando serviva nei corpi d'élite dell'esercito, tanto da diventare il militare più decorato della storia d'Israele. Eppure tanto onore guerriero non è servito a metterlo al riparo dalle aspre critiche, soprattutto in questi giorni, per via di quel ritiro che i suoi denigratori preferiscono definire come 'fuga'. Lui lo sa e mette tutta la foga dialettica nel difendere una scelta che rifarebbe anche oggi.

di Gigi Riva
Tutti i poteri sui servizi segreti al capo del governo. Una legge di riforma bipartisan che crei il super Cesis. Mentre a Bruxelles è già al lavoro un coordinamento di tutte le agenzie della Ue. Parla il commissario europeo alla Giustizia e sicurezza Franco Frattini
Franco Frattini, commissario europeo
alla Giustizia, libertà e sicurezza
Ripartiamo dal mio progetto di riforma dei servizi. Ne ho parlato con Giuliano Amato. Questa è materia su cui in passato c'è stata convergenza tra maggioranza e opposizione... Franco Frattini, ministro degli Esteri nell'esecutivo Berlusconi all'epoca del sequestro di Abu Omar, ora vicepresidente della Commissione europea e Commissario alla Giustizia, libertà e sicurezza, già presidente del Comitato Parlamentare per i servizi di informazione e sicurezza e ministro per il Coordinamento degli stessi servizi, dunque uno che la materia l'ha a lungo masticata. Frattini anzitutto conferma la linea sempre seguita da Palazzo Chigi: il governo nulla sapeva del rapimento. Aggiunge che non aveva "nessun tipo di competenza" per essere informato se, in ipotesi, la Cia avese chiesto al Sismi una collaborazione nelle 'rendition' di sospetti terroristi. Fornisce, in questa intervista a 'L'espresso', anche una notizia, "che non abbiamo voluto molto pubblicizzare": da almeno un anno funziona a pieno ritmo a Bruxelles un centro di coordinamento dei servizi segreti di tutti i 25 Paesi membri, un luogo dove ci si scambiano analisi e informazioni non classificate. Proprio questa esperienza, che segue da vicino, gli ha permesso di rafforzare dei convincimenti su come vadano riformati i servizi. Sul tema, del resto, era già stato il promotore di una legge approvata al Senato e poi arenatasi alla Camera. Dalla quale si può riaprire il dibattito.

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