In un saggio del 1961 il critico fece entrare il presentatore televisivo nell’empireo della semiologia, pur amareggiando l’interessato, che pianse per quell’accusa di 'mediocrità'


«Mike Bongiorno non si vergogna di essere ignorante e non prova il bisogno di istruirsi».

Si riassume così la «Fenomemologia di Mike Bongiorno», descritta in un celebre articolo del 1961 da Umberto Eco, che ha fatto entrare il mitico presentatore televisivo nell’empireo della semiologia, pur amareggiando l’interessato, che pianse per quell’accusa di «mediocrità».

Ripubblicato nel «Diario minimo» di Eco (Bompiani, 1992), si legge in quella «Fenomenologia»: «Il caso più vistoso di riduzione del "superman" all’ "everyman" lo abbiamo in Italia nella figura di Mike Bongiorno e nella storia della sua fortuna. Idolatrato da milioni di persone, qest’uomo deve il suo successo al fatto che in ogni atto e in ogni parola del personaggio cui dà vita davanti alle telecamere traspare una mediocrità assoluta unita (questa è l’unica virtù che egli possiede in grado eccedente) ad un fascino immediato e spontaneo spiegabile col fatto che in lui non si avverte nessuna costruzione o finzione scenica».


A proposito del re del quiz
, il noto scrittore e semiologo aggiungeva: «Mike Bongiorno convince dunque il pubblico, con un esempio vivente e trionfante, del valore della mediocrità. Non provoca complessi di inferiorità pur offrendosi come idolo, e il pubblico lo ripaga, grato, amandolo. Egli rappresenta un ideale che nessuno deve sforzarsi di raggiungere perchè chiunque si trova già al suo livello. Nessuna religione è mai stata così indulgente coi suoi fedeli. In lui si annulla la tensione tra essere e dover essere. Egli dice ai suoi adoratori: voi siete Dio, restate immoti».


«Quando lessi 'Fenomenologia
di Mike Bongiorno' di Umberto Eco piansi», ha raccontato Mike al settimanale «Tv Sorrisi e Canzoni» nel 2007. «A quei tempi avevamo delle persone che preparavano le domande per i quiz. Tra questi c’era un giovane di belle speranze che si chiamava Umberto Eco. Lui nega oggi di avere scritto le domande, io invece sostengo che era lui. Me lo ricordo che entrava nel nostro ufficio a portare le buste con dentro le domande. A un certo punto questo giovanotto pensò bene di scrivere un libro. Chissà, forse l’ha fatto perché voleva diventare famoso. Sia come sia, io ci rimasi molto male».

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